Dove vanno le stelle

9. Oscura luce

9. OSCURA LUCE

"Dopo tanta nebbia
a una a una
si svelano le stelle."
-Giuseppe Ungaretti

21 giugno, 2019

Le esperienze, belle o brutte che siano, portano sempre a un arricchimento. Quando diamo uno sguardo al passato, ricordando un dato momento o fatto della nostra vita, possono accadere in genere due cose; o si piange o si sorride. A prescindere da cosa proviamo, quel ricordo funge da maestro. Siamo soliti imparare dal passato, che ci aiuta a non ripetere gli stessi errori: il vivere e le esperienze ci fanno crescere. Per questo Kendra era stata entusiasta all'idea di trasferirsi alla UWA, non importava cosa sarebbe successo, avrebbe comunque ricavato degli insegnamenti per costruirsi un futuro.

Erano passate solo due settimane dal suo arrivo al campus, eppure aveva già imparato così tanto da creare una sorta di elenco mentale:

1. Non svegliare mai Francisca, nonostante sia lei stessa a chiedertelo di farlo la sera prima;
2. Chiudi la porta a chiave quando sei da sola, al fine di evitare situazioni imbarazzanti;
3. Non fare commenti spregevoli sul cibo venezuelano, anche se il patacòn, la banana fritta, ti fa venire i conati di vomito;
4. Se il coach Reed dimentica qualche dettaglio sull'allenamento del giorno non contraddirlo;
5. Non chinarti a raccogliere l'attrezzatura da terra con troppa disinvoltura, potresti ricevere occhiate invadenti da parte degli esemplari maschili della squadra.

E cosa più importante... non fidarti di chi non smette mai di sorridere. Nessuno è perfetto, la maggior parte delle persone gentili nascondono un abisso di falsità. Le maschere sui volti di chi grida gentilezza fungono da armatura, poiché fingere li rassicura. Alcuni studenti andavano in giro vestiti di stracci rugiadosi, la loro ambiguità la deludeva -Francisca era stata l'unica a rivelarsi schietta e onesta finora- la loro ipocrisia radice di sofferenza perché figlia della superbia.

Era così da sempre. Dai suoi esordi come nuotatrice aveva imparato quanto possa davvero essere ipocrita la gente. Tutti si congratulano per le medaglie, pochi lo fanno quando ti svegli all'alba per andare ad allenamento. Tutti si congratulano per i grandi risultati, ma pochi di loro sanno che per raggiungerli hai dovuto lavorare duramente sin dal primo giorno in cui sei entrato in acqua. Quasi nessuno capisce quanta preparazione sia necessaria anche per una sola gara. Mesi e mesi passati in piscina, vasca dopo vasca, avanti e indietro, seguendo una linea blu e un cronometro. Le lacrime, i muscoli che bruciano, i sacrifici.

Molti vedono solo il risultato e non hanno idea di quanto bisogna lavorare per raggiungerlo, ma lei se ne era sempre infischiata, preferendo pensare agli affari suoi, che andavano molto bene. Il duro allenamento aveva portato a dei miglioramenti: Marshall Reed era un coach fantastico. Riusciva a capirla davvero, e tra di loro si era creata una bella sintonia. In sole due settimane il suo tempo era sceso di un secondo, lavorando sulla partenza e sulle subacquee.

Sarebbe potuto sembrare poco, in realtà era tanto, specie perché durante le competizioni ad alto livello per vincere si tratta di centesimi di secondo. Era più che soddisfatta, non faceva altro che nuotare. Si svegliava, andava a nuotare, pranzava, dormiva, andava a nuotare, cenava e poi videochiamava sua madre prima di andare a dormire; quello era il momento più speciale di tutta la giornata, in cui aveva la possibilità di vederla, anche se attraverso uno stupido schermo.

Parlavano del più e del meno, scherzando e ridendo delle cose più stupide. Vederla felice la rendeva felice, e per un po' i brutti pensieri fluttuavano via e il peso all'altezza della bocca dello stomaco si alleviava. Spesso alle sue spalle apparivano Jiang e la nonna, che finivano sempre per intromettersi nelle loro conversazioni; Jiang chiedeva di come stessero andando gli allenamenti, nonna Mariah invece di a quante feste avesse preso parte. Nessuna, ovviamente.