8. Torre d'avorio

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8. TORRE D'AVORIO


















"Let the past die.
Kill it, if you have to.
That's the only way to become
what you were meant to be."
-Kylo Ren


2 giugno, 2019



Ripose la mappa del campus nella tasca frontale e richiuse lo zaino. Il suono metallico della lampo riecheggiò in tutto l'atrio del dormitorio; una mosca cominciò a ronzarle intorno. Kendra si accorse che quei due erano gli unici rumori che percepiva. Nessun brusio di sottofondo, non un mormorio, né un sussurro. Neanche una parola. Era ancora troppo presto secondo i ritmi lenti degli universitari dalla vita sregolata. Per la prima volta in tanto tempo, attorno a lei c'era solo silenzio. Chiuse gli occhi e si lasciò inondare dalla quiete, morbida e avvolgente.

Il frastuono dei pensieri che prima stordiva la sua mente s'era appena dissolto in un silenzio assordante, anche se... in realtà il silenzio assoluto non esiste. È quasi un paradosso: per sentirlo lo si deve ascoltare, lo si deve cercare. Ha un suono che non corrisponde all'assenza di rumore; è una pausa interrogante nel fragore della vita, è uno spazio che si riempie di ciò che realmente ci abita, di ciò che preme alle porte del cuore. È tempo di sofferenza, un tempo necessario di mancanza, di vuoto.

Un tempo che offre la possibilità di cercare le parole che possano descriverlo, perché il silenzio non ha parole, ma sa urlare un dolore muto che potrebbe riempire ogni cosa.

L'incontro, o meglio, scontro con quello strano ragazzo l'aveva turbata non poco; tutto di lui l'aveva colpita, dall'aspetto trasandato ai suoi bruschi modi di fare. Ed ora non udiva altro all'infuori di ogni singolo battito del suo cuore impazzito, intento a esploderle nel petto, quasi fosse un piccolo uccellino voglioso di fuggire da una gabbia di vergini ossa. Batteva brutale come una martellata o un colpo di pistola, volto a risvegliarla da quella trance fatta di sensazioni esaltanti, che man mano scemarono in fragili ricordi, danzanti all'ombra della luna.

Alla fine, trovare la segreteria non era stato poi così difficile, le era bastato seguire le indicazioni della mappa del campus, sarebbe potuta diventare un'ottima esploratrice in futuro. La segretaria, Ms. Russo, una donna bassa e pingue sulla sessantina, con i radi capelli ormai grigi legati in una treccia, era stata molto gentile e disponibile. Non appena le aveva chiesto informazioni era scattata sull'attenti, aveva indossato un paio di spesse lenti da lettura con la montatura d'argento e aveva cominciato a mettere nero su bianco tutto il necessario.

Kendra sollevò le palpebre e recuperò il fogliettino dalla tasca posteriore dei jeans. 'Stanza numero 205' aveva scritto Ms. Russo, dunque le toccava salire due rampe di scale con appresso una valigia di venti chili. Era una nuotatrice a livello agonistico, il che vuol dire che ogni giorno nuotava per decine di chilometri, ma salire le scale... era la sua morte. Era un'attività che l'affaticava più di ogni altra cosa, avrebbe preferito fare un duecento metri delfino che salire una rampa di scale.

Raggiunse il secondo piano con il fiatone e qualche goccia di sudore a imperlarle la fronte. Avanzò per il lungo corridoio fino a quando il numero 205 non entrò nel suo campo visivo. Il suo sguardo si arpionò alla placca dorata che riluceva debole sulla porta. Indugiò, indecisa sul da farsi, non sapeva se fosse meglio bussare e magari rischiare di svegliare la sua coinquilina, o semplicemente entrare, invadendo la sua privacy. La prima opzione le sembrò meno peggiore della seconda, così sollevò il pugno a mezz'aria e batté con le nocche sul legno tinto di celeste.

Nessuno rispose. Aggrottò la fronte e storse la bocca. Riprovò a bussare, e aspettò. Ma ancora una volta nessuno rispose. Afferrò la maniglia e la abbassò. La porta non era chiusa a chiave. L'aprì appena e si affacciò dentro.

Dove vanno le stelleWhere stories live. Discover now