15. Cupo fuoco

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15. CUPO FUOCO












"Con me, chi semina distacco,
raccoglie silenzio."
-Luca Albani









30 luglio, 2019









C'era silenzio nel corridoio, a parte il fastidioso ticchettio dell'orologio in sottofondo. Il gingillo, appeso alla parete d'un verde smorto, segnava le dieci del mattino e batteva veloce come se seguisse il palpito febbrile dei suoi polsi, scandendo ogni secondo con maniacale precisione. L'incessante ticchettare era in sintonia con il crescendo di conturbazione e scompiglio che risuonava nel suo animo; quell'angosciante melodia riportò alla mente gli sgradevoli eventi che recente l'avevano lacerata.

A ogni tic il volto di Zale le balenava nella mente, a ogni tac le lacrime nere versate da Francisca le si riproponevano dinanzi agli occhi, si erano impresse nella retina e nella memoria fin nel minimo dettaglio. Kendra provava un miscuglio di angoscia e vergogna, dentro le ribolliva un cupo fuoco, ciò che avrebbe voluto dire, le parole che avrebbe voluto urlare erano veleno che le bruciava in fondo alla gola, grattavano rabbiose contro le corde vocali per venire fuori, mentre il magma dell'irrequietezza e del rimorso evaporava, scaturendo un forte senso di nausea.

Portò le mani in grembo, erano fredde e umide di sudore. Strinse i pugni così forte da conficcarsi le unghie nei palmi, segnando la carne imporporata. Aveva tutto il corpo in tensione, tutti i muscoli rigidi e sentiva il battito del cuore pulsarle nel collo. Il ginocchio destro scattò e cominciò a tremare, si morse le labbra fino a farsi male, fino a farsi sanguinare il labbro inferiore. Non vide più nulla per un attimo, mentre il sapore ferroso del sangue le riempiva la bocca, danzando tra i denti nivei.

Un lamento muto le salì alla gola prima che si lasciasse sfuggire un rantolo che sembrava di un moribondo. "Non qui... non ora," mormorò, respirando a fatica, poi si coprì la bocca per evitare di ripeterlo. Sollevò lo sguardo e si guardò attorno, per controllare se qualcuno l'avesse sentita e per sua sfortuna notò che tutti la stavano squadrando. Ogni singola persona in quella stanza era in piedi, rivolta verso di lei, con uno strano ghigno a fior di labbra; nessuno di loro parlava, erano tutti in attesa della stessa persona, erano pazienti. Letteralmente.

Scrutò i loro volti crudeli con terrore, esaminò i loro sguardi vuoti... chissà se avevano provato almeno una volta nella vita il suo stesso dolore. Il ticchettio dell'orologio diventava sempre più insistente e cresceva di volume, sembrava quasi che avesse il meccanismo impiantato nel cervello. Immagini e scene di quella sera le rimbalzavano nella mente mute, senza suono, in modo prepotente e invadente, mentre il ticchettare le rintronava nei timpani, scandendo lo scorrere del tempo reale, anche se le sembrava di essere rimasta bloccata nel passato.

Trattenne il fiato e lo buttò fuori di colpo. "Basta..." implorò sottovoce, prima di strizzare gli occhi per qualche secondo. Poi, quando sollevò le palpebre, notò che tutti avevano smesso di guardarla, ognuno si faceva gli affari propri. Il ticchettio dell'orologio era divenuto distante, quasi impercettibile, sovrastato dal cinguettio degli uccelli e dalla voce della segretaria, intenta a portare avanti un'accesa discussione al telefono.

È stato solo frutto della mia immaginazione?

Kendra rilassò i muscoli e schiuse i pugni. Si asciugò i palmi delle mani sui jeans, poi trasse un respiro profondo, ritornando a fissare la porta dello studio. D'un tratto le voci provenienti dall'altra parte si fecero via via più forti, più vicine, finché la maniglia non venne abbassata e la porta spalancata poco dopo, rivelando una figura femminile, vagamente familiare. Non appena si voltò ebbe modo di studiare i lineamenti della ragazza, la riconobbe subito: era Sarah, una delle sue compagne di squadra.

Dove vanno le stelleWhere stories live. Discover now