𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚇𝙸𝚇

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Tra i corridoi di quel posto che aveva scoperto amare tanto, perso ad ammirare ora una teca che esponeva tante farfalle variopinte, ora un terrario con alcuni scarabei neri dai riflessi blu e verdi, Brian era felice.
Non gli succedeva spesso; nonostante la giovane età, conosceva bene la differenza tra contentezza e felicità. Sapeva quanto la prima fosse volubile, indotta da una particolare e distinta causa scatenante, mentre la seconda era quasi utopica, difficile da raggiungere -per dirlo come l'aveva compreso Brian, sapeva che vi era una grossa differenza tra il sentimento che provava in quel momento e l'emozione che provava quando sua madre gli portava a casa la pizza per cena-.
Sulla strada di casa non faceva altro che sorridere e parlare con Tim di questa o di quest'altra specie di insetto o di pianta, con le stelline negli occhi.
L'amico, dal canto suo, lo ascoltava con evidente allegria, e continuava a porgli domande piene di curiosità.
<E come si chiama quello che sta fermo e sembra un rametto?>
<Si chiama "insetto stecco"! E qui non vivono, però ci sono in... Abby, come si chiama il posto dove c'è la Spagna?>
La donna ridacchiò e lo guardò dallo specchietto retrovisore.
<Europa, tesoro.>
<Ecco! In Europa!>
L'entusiasmo di Brian si smorzò improvvisamente nel momento in cui riconobbe la via che l'auto stava percorrendo.
Timothy se ne accorse subito.
<Ehi, tutto bene? Mamma, Brian non sta bene!>
Accortosi dell'errore, il più piccolo tentò di rimediare.
<No, no sto bene! È solo che sono stanco!> esclamò, tirandosi dritto sul sedile.
<Sicuro?>
<Sì, sicuro.> e, rivolgendogli il miglior sorriso che riuscì a tirare, si girò verso il finestrino.
Dopo qualche istante percepì una piccola pressione sulla spalla.
<A cosa pensi?> domandò il suo amico, a bassa voce.
Brian esitò nel rispondere.
<Alla mamma. Quando beve il succo d'uva dei grandi, quello che puzza, diventa... Non lo so. Ma non mi piace.>
<Diventa cattiva?> chiese piano Tim, strofinando di poco la guancia contro la felpa dell'amico nel punto in cui aveva posato il capo.
<No! La mia mamma non è cattiva! È solo che... Che dice le cose cattive, ecco. Ma non è lei cattiva.>
<E tu hai paura che quando torni lei ha bevuto il succo.>
Brian annuì lentamente, e poggiò la testa contro al bordo della portiera, ove iniziava il finestrino.
Dopo nemmeno una decina di minuti, la macchina si fermò nel vialetto della sua vecchia casa.
Il bambino slacciò la cintura di sicurezza, aprì lo sportello e scese dalla macchina.
<Ciao, Brian. Sicuro che non vuoi che ti accompagni alla porta?>
<No, grazie, Abby. Tim dorme, vai piano.> Sistemò meglio l'amico sul sedile, facendolo stendere, poi chiude la portiera. Nel fare il giro attorno all'auto, passò accanto al lato del guidatore, e ne approfittò per rivolgere un timido e fugace sorriso alla donna.
Arrivò alla porta di casa e premette il pulsante del campanello; potè sentire il suono della macchina che si allontanava solo una volta che fu dentro casa, portando via con sé quella parvenza di felicità che il bambino aveva sperimentato.

<Ciao, mamma...!>
Corse subito ad abbracciare la donna -o meglio, la ragazza-, sperando che fosse di buonumore.
Per sua sfortuna, però, quel Dio che Abigail tanto pregava non fu clemente con lui.
Brian riuscì appena a sfiorare la madre, che questi lo allontanò malamente.
Il piccolo barcollò, ed il tonfo della porta che veniva chiusa fu l'ultima cosa che riuscì a distinguere nitidamente; non appena anche l'ultimo spiraglio di luce pomeridiana sparì dietro alla lastra di legno chiaro e rovinato dall'usura, tornò al suo solito incubo quotidiano.
Il bambino percepì le pareti buie dell'ingresso chiudersi attorno a lui, l'oscurità inghiottire i suoi movimenti e quelli di sua madre.

Del sonoro schiaffo che gli arrivò percepì prima lo spostamento d'aria, poi l'acuto bruciore alla guancia, che gli fece chiudere istintivamente gli occhietti colmi di terrore.
Arretrò immediatamente, trasalendo nel momento in cui sentì la fredda temperatura del muro carezzargli la nuca.
<Oggi ha chiamato la scuola. -iniziò a dire la donna, con tono furente.- Cosa sono tutti quei voti insufficienti?!>
Brian si coprì la testolina con le braccia.
<Scusami... Non volevo dirti una bugia... È che avevi detto che se avevo i voti bassi oggi non mi facevi andare al museo con Tim...>
Rispose con un filo di voce, le guance solcate da due grossi lacrimoni.
<Non significa niente! Ti ho sempre detto che la scuola viene prima di quel... Di quel pazzo!>
Nel sentirla, qualcosa in Brian scattò.
<Tim non è pazzo! Smettila di dire che è pazzo! Smettila! Smettetela tutti! Lui non è pazzo!>
<Ah, no?! E perché prende tutte quelle pasticche?! Perché dice di vedere cose che non esistono?!>
<Esistono! Non dice le bugie! Esistono!>
<Le hai mai viste, tu, eh?!>
Il bambino rimase interdetto, poi scosse vigorosamente la testa.
<No, ma non vuol dire che non ci sono! Il Dio tu non lo vedi, però ci credi! Perché non credi a Tim?>
Esclamò convinto, guardandola negli occhi.

Same SideWhere stories live. Discover now