𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚇

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<Ricordami come si chiama quella.>
La richiesta di Tim strappò Brian dai suoi pensieri.
<Mh? Quale?>
<Quella là.>
Volse lo sguardo verso l'amico, che aveva proteso un braccio per indicare una particolare stella nel cielo. Quale? Il più piccolo non riuscì a capirlo, e questo lo fece ridacchiare.
<Che c'è da ridere?>
<Non puoi indicarle, sono troppo lontane.>
<Quanto sei fiscale. -Tim roteò gli occhi, in fondo divertito.- Quella. La più luminosa.>
Brian sorrise.
<Sirio. È una delle stelle più visibili, ed una delle più vicine alla Terra.>
Si dilungò ancora per molto nella spiegazione, aggiungendo dettagli su dettagli riguardanti la sua storia, o particolari sul nome.
Ma Timothy non lo stava più ascoltando. Certo, annuiva di tanto in tanto, ma anziché guardare direttamente la distesa di corpi celesti sopra di loro, ne preferiva di gran lungo il riflesso negli occhi di Brian. Aveva un colore di iride molto particolare, nocciola intenso, ma meno luce illuminava l'ambiente, più assumevano una tonalità scura, quasi minacciosa, che fungeva da specchio ideale per lo spettacolo notturno a cui, grazie all'assenza di inquinamento luminoso dato dalla lontananza della città, potevano assistere ogni notte.
Mille ne erano passate da quando Tim aveva colto di sorpresa l'amico ad osservarlo, e mille altre ne avrebbero passate così: stesi sul tetto della loro provvisoria dimora, o sul prato di fronte ad essa, spesso in compagnia della sua chitarra, o di un paio di birre.
E se ne stavano lì, ad osservare il cielo stellato, a parlare, a cantare e suonare, come due ragazzi normali.
A ricordare.

Lo sguardo di Timothy si spense. Brian se ne accorse con un secondo di ritardo; lo seguì con lo sguardo mentre si alzava, visibilmente confuso.
<Ehi, tutto okay?>
<Sí, ho solo freddo. Vado dentro. Buonanotte.>
Non era vero, sapeva che Brian non se la sarebbe bevuta, ma nel non udire alcunchè in risposta, escluso un flebile "'notte", andò fino al bordo del tetto e scese a terra, appoggiandosi coi piedi al davanzale esterno di una finestra lasciata appositamente aperta. Decise all'ultimo di entrare da essa anziché dalla porta d'ingresso, scavalcando svogliatamente il parapetto; nel non sentire l'altro ragazzo seguirlo, un sorriso reo e cupo increspò per qualche istante le sue labbra.
Finalmente forse ha capito che deve lasciarmi in pace.
Una volta dentro, lasciò vagare lo sguardo nella stanza che fungeva loro da salotto: spoglia, senza mobilio escluso un vecchio divano bianco, polveroso e logorato in più punti dall'usura, un tavolino traballante sopravvissuto per miracolo alla sua sfuriata di qualche giorno prima, ed una vecchia televisione a schermo catodico con tanto di adattatore per poter leggere le cassette della videocamera che avevano.
Per l'altro dispositivo, quello con la pettorina, avevano comprato -o meglio, rubato- un portatile, che Brian aveva poi scoperto essere, per loro fortuna, non protetto da alcuna password.
Non avendo una connessione internet, potevano stare sicuri: la polizia non li avrebbe rintracciati. Così gli aveva detto l'amico, e Timothy, che ne capiva troppo poco per poter avanzare una seconda opinione, prese quelle parole per vere, e considerando i tre anni passati da quel fatto, comprese di aver fatto la scelta giusta a fidarsi di Brian anziché lasciare il dispositivo nella casa della loro vittima, come voleva intenzionalmente fare.

Fiducia.
Tutta la loro vita si era basata su questo: fidarsi ciecamente l'uno dell'altro, la consapevolezza di poter condividere ogni cosa passasse loro per la testa senza il timore di essere giudicati.
Per questo Tim si sentì ancor di più un verme per il pensiero formulato una manciata di secondi prima.
Scosse la testa ed imboccò il breve corridoio, diretto in camera propria; all'improvviso, però, a nemmeno metà strada, sentì uno strano peso sul petto. Il fiato gli venne a mancare, e lui barcollò pericolosamente, fino a sbattere una spalla contro al muro. Respirava affannosamente, terrorizzato, ma si sentiva come se i suoi polmoni non riuscissero a ricavare nemmeno una singola molecola d'ossigeno da tutta quell'aria.
Si lasciò scivolare lentamente contro alla parete cui era appoggiato, con lo sguardo fisso sul pavimento; il corpo del ragazzo, scosso da evidenti tremiti, non era più in grado di sostenere il suo stesso peso. Percepì dell'intonaco cadergli addosso a causa della frizione dei suoi vestiti, ma non se ne curò.
Provò a far vagare la mente, per cercare di fermare il più presto possibile quell'inizio di attacco. Era stato scatenato da tutta quella tensione accumulata dal giorno in cui aveva perso il controllo, e fermarsi a riflettere sul passato aveva dato al suo corpo il colpo di grazia.
Non appena si scoprì in grado di farlo, chiuse gli occhi e provò a regolarizzare il respiro; si concentrò con tutto sé stesso nel movimento meccanico dell'inspirazione e dell'espirazione, come gli consigliavano i medici quando ancora era ricoverato in quella maledetta clinica che tanto odiava.
Beh, almeno qualcosa di utile lì gliel'avevano insegnato: dopo pochi minuti, infatti, riuscì ad alzarsi in piedi, seppur retto al muro, e mosse qualche passo traballante verso la porta della stanza.
Non appena superò quella della camera di Brian, più vicina della sua, però, la aprì e vi entrò.
Perché? Non lo sapeva.
Camminò a tentoni nella semioscurità finché non inciampò nel bordo del materasso, poggiato direttamente per terra.
Si lasciò cadere su di esso, stanco, scalciò via gli scarponi senza nemmeno slacciarli e si girò un paio di volte, per trovare una posizione più comoda.

Brian restò sul tetto ancora per un'ora scarsa; scese poi allo stesso modo di Tim, entrò anch'egli dalla finestra e la chiuse dietro di sè. Non che facesse molta differenza: il vetro era rotto, nel telaio erano rimasti appena alcuni grossi frammenti. Meglio di niente.
Con le mani nelle tasche dei jeans, fece per andare in camera per cambiarsi e mettersi a letto, ma delle scaglie d'intonaco sul pavimento del corridoio lo fecero fermare.
Quella casa era fatiscente, ed aveva molte pecche nella struttura; una di queste erano le pareti in legno scialbato, che, complici il lavoro mal fatto, la mancata manutenzione e lo scorrere del tempo, tendeva ad essere estremamente friabile. Bastava quindi un tocco per farlo sbriciolare.
In quel punto, però, era come se qualcuno ci si fosse accasciato contro.
Non appena formulò questo pensiero, corse in camera di Timothy, e la trovò vuota, illuminata solo dalla luce della luna.
Col cuore che gli martellava nel petto, controllò in bagno, sempre più nel panico, poi nella propria stanza.
E fu lì che lo vide: steso sul materasso, aggrovigliato al lenzuolo che Brian usava per coprirsi, e rannicchiato attorno al suo cuscino.
Subito Brian si rilassò e si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. In quel momento, più che un adulto, Tim sembrava il bambino che il più piccolo aveva conosciuto: introverso e dolce, bisognoso di protezione.
Protezione che Brian decise di donargli per l'ennesima volta; senza nemmeno cambiarsi, si levò le scarpe e si stese sul materasso, accanto all'amico, dal lato del muro. Lo strinse subito a sé con un braccio, da dietro, usando l'altro come cuscino, e gli lasciò un piccolo bacio sulla nuca.
Dopo qualche minuto, cadde anche lui tra le braccia di Morfeo.

Same SideWhere stories live. Discover now