𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝙸𝚅

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Erano stati tre giorni d'inferno.
Non avevano ricevuto alcun tipo di incarico, e Brian non aveva nemmeno accennato a voler uscire dalla sua stanza.
Timothy non sapeva più che fare; le aveva provate tutte, ma nè le sue scuse, nè le proposte di qualche attività da fare insieme, e nemmeno lo sfoggio delle sue ben poco rinomate doti culinarie riuscirono nel loro intento.
Il ragazzo si era ormai arreso all'idea di attendere che l'amico si decidesse da solo ad uscire da quelle quattro mura, quando finalmente venne accontentato.

Tim vide la figura del suo migliore amico fare capolino dal corridoio; aveva gli occhi cerchiati, i capelli spettinati ed i vestiti sgualciti, ma sembrava stare bene.
Subito lui gli andò incontro, con un piccolo sorriso ad incurvargli le labbra. Sorriso che sparì nel momento in cui ricevette un'occhiata di fuoco da Brian.
Era una cosa talmente inusuale che ebbe bisogno di qualche istante per elaborarla.
In quel periodo di tempo era successo qualcosa, ne era sicuro. Per quanto lo facesse dannare, Brian non l'aveva mai guardato in quel modo.
Comunque, ignorò quanto successo e si fermò ad un paio di passi dall'amico.
<Come stai?>
<Normale. Come sempre.>
Rispose questi, scartandolo; andò poi in cucina.

"Normale"?
Qual era il significato di questa parola?
Brian non era certo di saperlo. Aveva una concezione tutta sua del termine, frutto di anni ed anni di riflessioni, e ne aveva discusso qualche volta con Tim.
Ma se per lui quest'aggettivo significava "comune", come per esempio frequentare una scuola, o passeggiare in un parco, o bere del caffè alla mattina, per Brian assumeva un significato diverso.
Per lui, "normale" era l'apoteosi di "abituale".
Un'azione può risultare strana, anormale, ma al contempo può anche essere abituale. Ricordava benissimo di aver fatto un esempio stupido riguardante il vizio di molti di evitare le fughe delle mattonelle. Non è nulla di che, certo, ma viene comunque ritenuto strano.
Questo principio si poteva applicare a qualsiasi cosa, ovviamente.
Anche per quanto riguardava l'uccidere.
Ed il problema non si riscontra nel momento in cui lo fai, conscio del fatto che non sia normale.
Il problema insorge nel momento in cui, per te, uccidere lo diventa, normale. Diviene talmente abituale che puoi parlarne tranquillamente, inserendolo in ogni conversazione tra una lamentela sul tempo ed un commento sul pranzo.
Ecco, Brian aveva impiegato mesi, anni, per renderlo normale.
Ed ora lo rimpiangeva terribilmente.

Era sempre stato un ragazzo gentile, premuroso, a tratti quasi galante; eppure ora quello stesso ragazzo era in grado di togliere la vita ad un'altra persona senza battere ciglio, di guardare qualcun altro negli occhi mentre spira, di gustarsi il momento in cui il bagliore della coscienza abbandona per sempre le iridi di un altro essere umano.
Si era dovuto adattare, per poter sopravvivere.

Brian scosse con forza il capo, per scacciare quel tipo di riflessioni. Odiava quando prendevano il controllo dei suoi pensieri.
Lui non era più Brian Thomas, era Hoodie.
Un'arma, un automa. Una macchina obbediente.
Altrimenti tutto ciò che aveva fatto, che aveva subito, sarebbe stato assolutamente inutile.
Ed era con questo chiodo fisso in testa che interruppe il discorso di scuse di Timothy, sferrandogli un forte pugno sul viso.

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