𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝙸𝙸𝙸

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Il ragazzo lo fissò a lungo, senza fiatare, poi abbassò lo sguardo e proseguì per la sua strada, diretto in cucina.
<Brian, io-...>
Il tentativo di scuse di Tim venne interrotto da un gesto di noncuranza dell'altro, intento a prendersi un bicchiere d'acqua.
Brian sapeva cos'avrebbe sentito, e ripetere quel teatrino un'altra volta non avrebbe giovato a nessuno dei due: Tim sarebbe stato travolto per l'ennesima volta dal senso di colpa che provava dopo ogni episodio del genere, e lui avrebbe dovuto rendere più vivido di quanto già non fosse il ricordo, seppur recente, di quello che era successo.
Come se non fosse abbastanza doloroso rivivere quei pochi attimi di follia cui era reduce.

Non erano tanto le azioni di Tim a ferirlo, no.
Erano le sue parole. Gli insulti gridati con tono pregno di disprezzo, gli sguardi che gli rivolgeva.
In quei momenti, Timothy non era più Timothy; il suo sarcasmo, a tratti cinico, non era mai mirato ad offendere. A ferire.
Quando perdeva il controllo, invece, quello stesso sarcasmo diventava estremamente tagliente, sardonico. Cambiava modo di parlare, di muoversi. Se si affinava l'udito, in alcuni casi anche la sua voce risultava lievemente diversa.
Quasi diventasse un'altra persona.
Ma lui non era l'unico a cambiare.

Così come Tim non era più Tim, Brian non era più Brian.
Ogni spintone, ogni insulto, ogni risatina, lo aiutavano a rinchiudersi nell'involucro che rappresentava sia la sua rovina, che la sua salvezza.
Hoodie simboleggiava il nulla, la calma piatta, l'assenza di qualsiasi cosa non fosse il freddo ragionamento logico.
Analisi della situazione, calcolo dei rischi e delle potenzialità, azione.
Efficace ed efficiente, senza spazio per emozioni o sentimenti.
E spesso, Brian prediligeva affidarsi a quel lato della sua personalità anziché rischiare e restare sé stesso.
Così, quando Tim, di nuovo in sè, provò a comunicare con lui, Brian -anzi, Hoodie- preferì il linguaggio del corpo a quello verbale. Come durante gli incarichi.
Efficace ed efficiente.
Dopo aver risposto, non dovette nemmeno alzare lo sguardo verso l'amico, non c'era bisogno di fargli notificare il vuoto nei suoi occhi.

Una volta chiuso il frigorifero, uscì dalla cucina ed imboccò di nuovo il corridoio da cui era appena sbucato; poteva percepire lo sguardo di Tim seguirlo, lo sentiva bruciare sulla nuca, ma non aveva la minima intenzione di voltarsi.
E non lo fece.
Con una calma quasi innaturale, data la situazione, arrivò fino alla porta della sua stanza e la chiuse dietro di sè dopo averne varcato la soglia.
Solo allora, solo una volta rimasto esclusivamente con sé stesso, solo in quel momento si concesse un attimo di umanità racchiuso in un sospiro estremamente tremante.
C'era però qualcosa che non andava.
Di solito, nelle innumerevoli altre volte in cui si era ritrovato in quella situazione, questo momento di debolezza era seguito da un silenzioso cenno di "no" col capo, mentre staccava la schiena dalla porta, l'ingestione di un paio di pasticche di melatonina sottratte tempo addietro a Tim ed un tuffo a pesce nel letto, senza nemmeno cambiarsi.

Quella volta, invece, no.
Se ne accorse nel momento in cui non riuscì a trattenere un secondo sospiro pregno di dolore, ancor più vibrato e pesante del precedente.
Allarmato, Brian tentò di allontanarsi dalla porta, ma il suo corpo non volle saperne di ascoltarlo. Scivolò lentamente contro la lignea superficie scura, mentre guardava fisso un punto poco distante dalle punte dei suoi piedi, ad occhi sgranati.
Si ritrovò ben presto seduto scompostamente a terra, con una gamba ancora piegata di fronte a sé, le spalle scosse da silenziosissimi singhiozzi, ed il viso inondato da inconsapevoli lacrime.

Quant'era passato dall'ultima volta che aveva pianto..?

Same SideWhere stories live. Discover now