Capitolo 15: Parte Due.

681 18 4
                                    

"...mi appartieni."

****
"...quindi non ti importa?" mi richiese, alzando un sopracciglio e mordendosi il labbro.
Mi stava provocando o cosa? Non brillavo mica di resistenza io!
Si mise in piedi, avvicinandosi lentamente verso di me. Prese una ciocca dei miei capelli e se la rigirò fra le dita, successivamente inchiodò nuovamente i suoi occhi nei miei.
E cavolo, quanto erano belli!
"...che stai facendo?" gli chiesi, avvertii il leggero rossore espandersi sul mio viso.
E ci credo che arrossisco!
Lui lo notò e si soffermò un attimo sulle mie labbra, dopodiché rispose: "Mi piace quando arrossisci." mi informò.
D'istinto mi misi le mani sul viso, per cercare di coprire il mio imbarazzo. Lui le prese con sé e le tolse dal posto.
Sentivo il bisogno, quasi incessante, di baciarlo.
Lo volevo, così tanto.
Gli osservai le labbra, soffermandomi più del dovuto su esse.
"Non devi baciarmi! " mi disse rude, freddo.
Mi stupii come cambiò umore, dalla sfida passò all'indifferenza. Aveva calato un muro, un muro che solo lui decideva quando abbattere o no.
Come un interruttore: lo spegneva e lo accendeva, quando lo desiderava.
"Perché non posso?" gli chiesi spontanea.
Non ero mai stata una che si fa mettere i piedi in testa, né una che sente il bisogno di far tutto quello che dice il suo compagno.
Ma mi uscii, così spontaneo, senza pensarci due volte, quella risposta.
Perché non potevo? Mi provocava solo per piacere personale, per vedermi fremere dalla voglia di averlo mio?
"Perché no" rispose, girandosi e dirigendosi verso la finestra, aprendo essa ed appoggiandosi sulla ringhiera.
"Non è una risposta." sussurai, stando tre passi dietro di lui.
Incrociai le braccia, abbassando il capo.
Lui restò inerme, come annoiato dalle mie domande. "Fattela bastare."
Il tono sprezzante, duro, acido, arrogante come se avessi colpito la parte più debole che avesse.
Si staccò dalla ringhiera, girandosi verso l'entrata e, senza guardarmi in volto, mi oltrepassò.
Restai ferma, in dubbio se fermarlo o no.
Volevo che rimanesse, volevo che restasse qua con me!
Non ci pensai oltre, corsi verso la sua direzione e gli presi il braccio, sussurandogli: "Rimani, perfavore."
Non mi ascoltò, mi oltrepassò e giunse alla porta.
Mi sentivo delusa ma almeno ci avevo provato!
Decisa a non rimpiagermi addosso, ripresi la strada verso la mia camera.
Voleva andarsene? Bene, che lo faccia.
Sentii il rumore della porta chiusa ed, ebbi la conferma, che lui con me stava solo giocando.
Ed io, avevo rovinato un rapporto così importante, per cosa? Per le sue continue provocazioni? Davvero aveva tutto questo potere, nonostante ci conoscessimo da pochissimo, di far interrompere un amicizia durata ben 7 anni?

Due mani mi cinserò i fianchi, prendendomi alla sprovvista. Mi girai di scatto, ed era lui.
"Che ci fai qui?" gli chiesi, incrociando le braccia. Inaspettatamente felice.
Ad un centimetro dal mio volto, sussurrò avvicinandosi al mio collo. Potei sentire il suo calore su di esso. La sua personale aroma, al gusto di menta e tabacco concentrato.
"Ho cambiato idea." le sue mani esperte vagarono sul mio bacino, risalendo sul addome, tutto in gesti calcolatori ma sensuali al contempo!
Era così che si sentivano le ragazze che andavano con Blake Sanders?
Capì il perché, il perché tutte le ragazze della scuola mi odiassero. Lui non lo faceva apposta, era se stesso. Ma ti prendeva, ti elettrizzava il suo modo di essere, il modo di come formulasse le frasi, di come ti guardasse quasi come se fossi la sua nuova preda e, come se, sapesse già cosa fare di te. Mi squadrò da capo a piede, analizzò i miei occhi. Capì il modo di come mi sentissi con lui affianco.
Era una sensazione che nemmeno io mi spiegavo.
Mi attraeva? Tanto.
Mi piaceva? Forse si, forse no. Ma non ne ero sicura.
Mi interessava? Si
Mi provocava desiderio qualora lo guardassi o si avvicinasse a me? Si.
Bene, la situazione era più chiara.

"Perché fai così?" gli chiesi.
Sguardo con sguardo.
I suoi occhi color cenere, nei miei color cioccolato.
Anche in procinto e sprizzante di desiderio, riuscivo a pensare al cibo!
Mi stupivo di me, non poi così tanto.
Non distolse un attimo lo sguardo.
"Così come?" mi rispose.
Mi stuppi, quando nei suoi occhi non lessi le solite emozioni, ma ben altre: dubbio, tentennamento, controllo, determinazione e desiderio.
Si staccò da me, mettendo le mani in tasca estraendole subito dopo con un pacco di sigarette.
Ne prese una e l'ha accese.
Fumò, espirò ed inspirò, tutto mentre mi guardò.
"Come se avessi un muro e nessuno fosse degno di entrare." sussurai.
Espirò il fumo aprendo leggermente le sue labbra rosee, guardandomi, disse: "Magari è così"

Il suo sguardo provocatorio percorse, in una lentezza straziante, il mio corpo. Quasi a volersi ricordare ogni tratto, ogni curva, ogni dettaglio di esso.
Quando arrivò a scrutarmi il seno, misi istintivamente le mani addosso ad esso per nasconderlo. Mi sentivo in un tremendo disagio! Non ero cosciente delle mie future parole né delle mie future reazioni. Era la prima volta in tutta la mia vita che non riuscissi a riprendere il controllo della mia mente.
Lui ghignò divertito.
"Sei troppo innocente.
Dovresti smetterla di fare domande e fare altro." sussurrò ad un centimetro dal mio viso, guardando attentamente le mie labbra.
Se solo avessi, spostato un piede e fatto un passo avanti, sarebbe successo. Avrei zittito i miei desideri e li avrei soddisfatti. Ripetei che doveva essere anche un suo desiderio, non solo mio! Ma fu più forte di me: avanzai, di scatto e sporsi le labbra afferandogli il viso. Lui non venne colto di sorpresa, sembrava avesse capito fin da subito le mie intenzioni e, di conseguenza, premeditato tutto. Mi bloccò, circondami un fianco e avvolgendo una mano sul mio collo, senza stringere eccessivamente, solo una delicata pressione. Che probabilmente pensavo che suscitasse in me rabbia o disprezzo, ma no!
Mi piacque il modo di come lo facesse. Il modo di come si controllava nel stringere. Era quasi, oserei dire, delicato ma intenso.
Dal centro della stanza, mi ritrovai attaccata al muro. Lui davanti a me, sovrastava la mia figura di ben, quasi, venti centimetri. Eppure, non mi spaventò. Anzi, ottene l'effetto contrario.
"Vediamo se la tua bella testolina, riesce a ricordare ciò che ho detto poco tempo fa riguardo ai baci." sussurrò sul mio orecchio, per poi ansimare delicatamente su tutta la base del mio collo, per poi depositare un leggero bacio umido sulla mia clavicola.
Un ansimo spontaneo fuori uscì dalle mie labbra, godendomi a pieno la lenta tortura che egli mi stava affligendo.
Era questa l'attrazione sessuale di cui tutti parlavano? La stessa che non avevo mai avuto con nessuno, nemmeno con Derek?
La sensazione di sentir lo stomaco come un fuoco ardente o le gambe deboli, come se non reggesserò il mio peso?
Era questo l'effetto che provocava un solo bacio sul collo da Blake Sanders?
Se io stavo provando questo, morendo dal desiderio di essere sua, come dovevano sentirsi le ragazze che ebberò un rapporto con lui?
Diventava una dipendenza?

Blake continuò la sua tortura, senza sosta, scendendo e salendo dalla clavicola, cospargendo essa da baci umidi. Stava lasciando il segno.
"Dimmi quale fu la frase che uscì dalle mie labbra."
Bastardo!
Sapeva che ero impotente, che ogni parte del mio corpo era in estasi, che mi sentivo squallida ogni qualvolta la mia bocca lasciasse andare degli ansimi sempre più intensi!
"..Dimmelo Gioia. " nominò il mio nome, con una tale intensità, che mi portò a pensare che mi fu dato solo per essere nominata da lui. Solo per sentire le sue labbra lasciar andare delicatamente ma rude, il mio nome.

Ad un tratto si fermò e mi fu impossibile non emettere un lamento di delusione.
Volevo che continuasse subito.
Posizionò le labbra in un punto del collo, nel MIO punto. Lo aveva trovato, non so bene cosa ma lo aveva appena trovato.
Sospirai, non appena poggiò le sue labbra morbide ed umide su esso.
Succhiò avidamente, cospargendolo volta per volta di morsi e continuò, continuò senza sosta, dimostrando che gli piacesse, che gli piacesse il suono dei miei ansimi che, velocemente, divennero veri e propri gemiti.
Fu costretto a tapparmi la bocca poiché si udisserò altamente.

Una mano ancora stretta al mio collo, una appoggiata fermamente sulle mie labbra, le sue labbra avide sul mio collo, il suo corpo aderito perfettamente al mio.
Ero completamente persa.
Persa nella sua tortura, non pensai a niente.
A nulla. Né alle conseguenze né a cosa si significasse.
Ero completamente aggrappata a lui, tenendogli la testa con la mano, incitandolo a continuare e a non fermarsi.
Non si stava prendendo solo il mio corpo.
Nonostante non fossi cosciente, questo pensiero mi si illuminò nella mente. Stava prendendo tutto. Piano a piano. Con pazienza. Ogni centimetro di me. Non solo il mio corpo, ma anche la mia mente!
Era furbo. Aveva capito la tecnica, aveva capito che non sarei resistita alla sfida, che dinanzi ad essa mi sarei messa in gioco e avrei dato me stessa. E lui lo ha colto e mi ha catturato, non appena mi esposi.

Quando pensai che stessi per raggiungere il limite, che stessi per scoppiare, lui si fermò.
Mi guardò, ignorando la mia faccia arrabbiata come se volessi sbranarlo, o forse lo divertì solamente.
Si avvicinò alle mie labbra, tolse la mano da esse ma non dal collo, e disse: "Vedi? Posso fartelo quando mi va. E tu non diresti di no, sai perché?
...perché mi appartieni." ghignò vittorioso e uscì dalla porta.
Solo quando udì il suono della porta d'ingresso chiudersi, crollai.
L'avevo fatto vincere.
Gli avevo concesso di far di me ciò che voleva.
Mi aveva sedotto, sapendo le mie prossime mosse.
Era stato il triplo più furbo di me.
Ed ora, sapevo cosa significasse.
Che ciò che mi aveva fatto provare, non l'avrei dimenticato. Mai.

Tu non sei le altre. Waar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu