4. Ostaggio in una grotta

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– Càlmati, per ora dovrai solo rispondere a delle domande, e soprattutto farmi capire chi sia tu, piuttosto.

– Cosa significa? Hai rubato tu il mio zaino?

– Sì, sono stata io. Quando stavi entrando nella grotta volevo solo stanarti e immobilizzarti, ma avrò sferrato un colpo un po' troppo forte e sei svenuto... – fece una pausa, poi concluse, – o forse sei tu un po' troppo di carne molle.

– Sono svenuto? Per quanto tempo?

– Più d'una giornata. Sei rimasto tramortito per tutto il giorno, la notte e la mattinata seguente. In questo momento fuori dalla grotta è pomeriggio.

"Una giornata intera?" pensai, sbalordito. Ciò significava che avevo completamente abbandonato Larou da solo nel bosco.

Sentii tutto il peso delle responsabilità di quella che, in retrospettiva, fu un'azione alquanto avventata.

"Larou potrebbe starmi ancora cercando, o avrà rinunciato all'esplorazione e sarà tornato al villaggio;" rimuginai, "che abbia allertato la maestra e Kokua, e che poi mi abbiano dato per disperso?" annegai nelle mie congetture.

Nel frattempo, si instaurò bislaccamente un dialogo con la figura davanti a me. Sembrava addirittura possibile discutere senza essere classicamente minacciati di morte a ogni parola.

Appena i miei occhi si abituarono alle tenebre a sufficienza, riuscii a spingere lo sguardo più in profondità, e la crescente lucidità mentale mi permise di scorgere quella figura umana con maggiore definizione.

Nonostante il buio era visibilmente una ragazzina non più grande di me. Seduta e un po' rannicchiata, la sua posa sembrava suggerire il nascondimento d'un arma, come a tenersi pronta a reagire a qualsiasi mio possibile tentativo di aggredirla.

In quel turbinio di pensieri rimasi in silenzio per alcuni secondi, e lei riprese a parlare:

– Allora, chi sei? – avanzò una domanda inaspettata, una che avrebbe dovuto essere a mio appannaggio.

– Io? In che senso? Sono una persona normale, non ho fatto niente e non capisco il perché di tutto questo, voglio solo il mio zaino e andarmene, non ho fatto nulla di male.

– È proprio questo il punto.

– Come? – tentennai.

– Il tuo zaino, – rispose, – dentro c'era questo...

Aveva perquisito il mio zaino, che al momento notai essere posato al suo fianco. Da una tasca cacciò il mio portafortuna, il quale mi fu sfacciatamente da lei mostrato.

Quando lo prese in mano non solo s'illuminò, cosa che normalmente succedeva unicamente con me, ma lo fece con un'intensità anche maggiore.

– È il mio portafortuna, e quindi? – spiegai.

– Come l'hai avuto? – non scostò d'un digito il centro del discorso.

– Ce l'ho da quando sono piccolo, cosa ti importa?

– Mi importa eccome. Secondo te è normale un cristallo che si illumina fra le mani... solo fra le mie mani? – rettificò stranamente, – Questo non è solo un semplice gingillo di buon auspicio, e se lo possiedi lo sai benissimo. Dimmi, cosa stavate cercando nel bosco eh? Qual è il vostro obiettivo?

"Solo nelle sue mani?" quella parte della frase mi echeggiò in testa, e oltre a un irritante senso di fastidio, iniziai a pormi ben altre domande sulla natura di quella pietra, di me e di lei. In ogni caso, ancora prioritariamente scosso dalla condizione di prigionia, ribattei genuinamente con quanto utile per tirarmi fuori da quel misfatto supposto ma mai compiuto.

La forgiatrice di lame ⅠDove le storie prendono vita. Scoprilo ora