-Capitolo 5-

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HOPE'S POV

Quelle sbarre sono sempre davanti hai miei occhi, quasi incomincio ad odiare la monotonia di vederle sempre grigie e spoglie di emozioni.
Sbuffai, sempre nella mia posizione, gambe incrociate sul mio "letto", che mi aveva accompagnato per tutto il mio tortuoso viaggio qui dentro.
Dottori che corrono in avanti e in indietro in cerca di cose da fare per non esser licenziati in tronco.
Suonò la campanella, ora d'aria, solitamente non la fanno suonare, non saprò mai perché l'hanno fatta suonare proprio oggi.
L'infermiere Lee, nonché il più odiato tra tutti per la motivazione di essere uno stronzo patentato, mi aprì la porta della cella ed io uscì senza neanche rivolgergli la parola. 

C'è un piccolo giardino dietro la struttura, dove spesso e volentieri ci vanno i dottori e anche i pazienti durante l'ora d'aria.
Nessuno rivolge la parola a nessuno, se non al proprio psicologo che si occupa di risistemare i cassetti della loro psicologia insulsa.
Da che cosa è formata la base della mia psicologia?
Odio e rabbia.
Da sempre i miei migliori amici che mi accompagnano, l'odio porta le persone a parlare alle spalle e ad insultarsi a vicenda, perché alla fine noi esseri umani cerchiamo di trovare un psicologia solida su cui si ci possa affidare, ma mai dare niente per scontato. La rabbia è sempre stata nei nostri corpi, fin dalla dolce nascita, ci arrabbiamo per cercare di voltare le spalle al mondo perché ci fa soffrire, ci fa odiare e tutto ciò comporta l'arrivo alla stazione, anche chiamata rabbia.
Cammino trascinando i piedi, la luce del sole  mi acceca, aria pura entra nelle mie narici dopo troppo tempo.
Ci trattano come se fossimo dei carcerati, ci fanno indossare una tuta arancione e un forcone per la spazzatura in una mano e nell'altra un sacchetto per pulire lo schifo che lasciano le persone, sperando che un giorno, appena usciti di qui, saremo persone migliori e che faremo di tutto pur di non rientrare qui dentro. Una bottiglia di plastica qua, un sacchetto di plastica la e del vetro la giù.
Vedo delle guardie che mi fissano, sperando che io cercassi di sgarrare per agire e sbattermi nuovamente in quella putrida cella. Odio questo posto con tutto il cuore, odio queste persone che mi ronzano in torno, odio le persone che mi hanno fatto nascere, odio vedere il bicchiere mezzo vuoto ed odio non poter urlare al mondo che mi fa schifo.
A volte vorrei vedere l'arcobaleno, che appare così dal nulla, senza chiedere permesso, e viene guardato da tutti con stupore, così trasparente che gli ci su può vedere interno, con tanti colori che in realtà non sono che una semplice luce bianca. Ecco, io vorrei essere vista come un un'arcobaleno, essere vista per quella che sono e non come una mezza pazza rinchiusa in un manicomio per aver urlato a tutti l'odio nei loro confronti, non è giusto, la vita è ingiusta.
La vita è strana, prima ti guarda in faccia e ti dice che andrà tutto bene e poi invece ti riguarda e dice che niente andrà mai bene.
Non sopporto essere un vaso di terracotta in mezzo a tanti vasi di ferro.
Giro il volto, vedo una rissa in fondo, la risolveranno le guardie molto velocemente, non ho neanche la forza di urlare 'basta'.
So solo che odio chi mi ha portato qui dentro e chi prova a trattarmi come una malata.
Cammino trascinando i piedi verso un tavolo con delle sedie, dove sta seduta una ragazza, tenendosi la nuca e sussurrando qualcosa, dondolando avanti e indietro in continuazione, senza sosta, ma non mi importa più di tanto.
Mi siedo davanti a quella donna, che sembra quasi indemoniata, ma continuo a fregarmene. Quella visione mi ricordò me quando entrai qui dentro, cercai di calmarla altrimenti sarebbe andata avanti per ore.
-Ehi, stai bene?
La donna alzò lo sguardo, occhi sgranati, occhiaie di chi non dorme da giorni interi, labbra socchiuse che cercano continuamente aria, capelli biondi e occhi color ghiaccio. Sventola le mani in aria, e dopo un po', vedo che la smette, si sarà calmata?
-Bene grazie, e che quando sono sola mi viene una specie di attacco di panico...
Abbasso la testa, ricordo quando i primi giorni qui dentro lo facevo anch'io, cercavo in ogni modo di non diventare veramente pazza.
La solitudine è orribile, è come un nodo allo stomaco che non sopporti.
Non state soli, non ne vale la pena.
Vi farete solo del male, anche se adesso non vi pare.
-Sei nuova, vero?
Rialzati lo sguardo su di lei, aveva paura del futuro e di quello che sarebbe successo.
-Si.
-Da quanto sei qui?
Azzardai con quella domanda, avevo un po' di paura che uscisse pazza.
Perché fa male sentirsi soli anche quando si è in mezzo a tante persone? Ci si sente invisibile, impotente.
-Due giorni, e già sto impazzendo.
Nessuno dovrebbe patire ciò, neanche la persona più cattiva del mondo.
La gente è così cattiva che neanche se ne rende conto, come se avessero davanti alla faccia un velo che li abbia disorientati volontariamente. Tutti credono che sia facile attraversare un ponte di anni di sofferenza e rabbia, tutti credono che sia fare i bulli con chi è più debole, tutti credono che tutti i pazzi, o meglio, le persone che vedono in faccia la realtà, devono stare rinchiusi in un ospedale psichiatrico.
Nessuno si merita quello che gli è successo, nessuno merita di non avere la propria libertà.
-Come ti chiami?
La donna davanti a lei era colta di sorpresa, non capiva come mai la protagonista glielo avesse chiesto, aveva paura che appena sarebbe uscita da lì anche la protagonista gli avrebbe sbattuto le porte in faccia, senza nessuna pietà.
-Mi chiamo Emily, Emily Young.
La protagonista sorrise, sapeva che se gli aveva detto il proprio nome si voleva fidare veramente di lei, è ciò le piacque molto.
-Io mi chiamo Hope, Hope Carter.
La campanella suonò nuovamente, era già passata un'ora e non se ne era resa conto.
Hope si alzò e rimise apposto la sedia, a seguirla ci fu Emily.
Si strinsero una mano e sorrisero entrambe, dopo più di cinque mesi aveva fatto amicizia, un motivo in più per diminuire l'odio.
Non sforzarsi, tanto le cose accadono quando meno te lo aspetti.


Ciao ragazzi!

Volevo esporre un mio problema.
È normale che quando non posso scrivere mi vengono delle idee geniali e quando posso scrivere non me le ricordo più?😂 Vi prego ditemi che non sono l'unica!
Lasciate un commento ed una stellina se avete apprezzato ed al prossimo capitolo!
Fabiana⚡

𝑷𝒔𝒚𝒄𝒉𝒐𝒍𝒐𝒈𝒊𝒔𝒕Where stories live. Discover now