La città di ghiaccio

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"Perso fra le onde del mare

Il navigatore non dispera

Cerca la Stella Polare

Che la strada rivela"

Questa era la filastrocca che ripeteva ogni giorno. La filastrocca che gli aveva insegnato suo padre quando era bambino. "Queste sono parole speciali", gli aveva detto. "Ancora non puoi capirne il significato, ma arriverà un momento in cui ti sentirai in difficoltà. Ripetile, come se fossero una preghiera e vedrai che ti daranno coraggio!"

Ora che era adulto, ogni volta che si svegliava, recitare quei versi era la prima cosa che faceva. Per non perdere il senno, da quando il ghiaccio aveva preso il posto di tutto. Non esisteva più alcuna forma di vita: persona, animale o vegetale. Tutto e tutti erano stati spazzati via. Tutti, tranne lui, che era rimasto inspiegabilmente vivo. Vivo e solo.

Aggiunse una tacca sul muro, come a ogni risveglio, per tenere il conto dei giorni. Il suo rozzo datario rivelò la fine di un altro mese. Ed erano già dieci: dieci mesi da quando si era risvegliato in quella follia bianca e gelida. Avrebbe potuto tenere il conto direttamente su un calendario di carta: disponeva delle risorse di un'intera città. Ma preferiva infierire sul muro: quel gesto, rude ed energico, gli permetteva di liberarsi di un po' del suo dolore. Mangiò qualcosa, si vestì e uscì come da programma. Il suo programma, la sua Stella Polare personale. Quel giorno avrebbe dovuto approvvigionarsi di cibo. C'erano poi giorni dedicati al carburante e ai mezzi. Altri alle armi, al vestiario, all'esplorazione. Ogni giorno aveva il suo obiettivo. Così che sapesse sempre cosa fare. Aveva scelto come dimora il livello più in basso di una struttura con numerosi piani interrati. I locali sotto la superficie permettevano di godere di una temperatura più mite che, oltretutto, garantiva la possibilità agli automezzi di rimanere funzionanti e al carburante di non congelare.

Indossò il lampeggiante rosso a tracolla, sperando sempre che ci fosse qualcuno che potesse notarlo. Uscì dalla rimessa con un auto e il solito paesaggio bianco gli si parò davanti. Ultimamente quel panorama piatto lo scoraggiava sempre di più. Aveva reagito molto bene a quella situazione ma la solitudine lo stava logorando. Spesso si ritrovava a parlare da solo. "Che senso ha tutto questo?" chiedeva. "Perché sono l'unico a essere sopravvissuto?" Silenzio. Nessuna risposta. Solo il rumore del vento. Il bianco assoluto di quel ghiaccio che era ovunque; la foschia perenne, bassa, che mulinava sul terreno lattiginoso; le nubi persistenti ed immutabili che schermavano il cielo e permettevano di vedere solo luce diffusa. Dal fatidico giorno non aveva più potuto gioire della luce del sole. Per combattere il freddo, lo aveva accolto: si era fatto avvolgere, attraversare. Aveva accettato di conoscerlo e così era stato in grado di contrastarlo. Ormai non faceva più caso alla temperatura. La solitudine assoluta lo aveva portato a gradire anche la morte. Ogni volta che pensava alla sua fine, si sentiva sollevato. Perché continuava a resistere? Perché non la faceva finita? A quelle domande che, umanamente, gli sorgevano spontanee si rispondeva sempre: "Una ragione deve esserci. Non riesco ad afferrarla ma, so che c'è!" Questo unico pensiero lo teneva in vita: una sorta di "fede" verso quello che lo faceva sembrare un eletto. Questo pensiero e la sua filastrocca.

Arrivò a destinazione e riportò l'attenzione a quello che doveva fare. Entrò in un vecchio supermercato, buio e spettrale come ogni edificio della città. Quel posto, che ricordava un vecchio film dell'orrore, non gli provocava alcuna emozione: accese la sua torcia e si addentrò senza timore. Riuscì a trovare facilmente scatolame e altre cose commestibili. Girò intorno ad uno scaffale e la torcia elettrica illuminò un espositore con dei degli alberelli colorati. Non era solito vedere dei colori e quella visione gli mise un po' di allegria. Erano i noti "Arbre Magique". Quelle sagome dall'odore forte e insopportabile, che aveva sempre odiato in passato, in quel frangente, gli avevano regalato un po' di gioia. Ne scartò uno per scoprire che, anche la loro capacità di odorare era stata fagocitata da quel freddo infernale. Terminò la perlustrazione e uscì dall'edificio.

Appena fuori gli sembrò di scorgere una strana ombra in cielo. Strabuzzò gli occhi e guardò con più attenzione, cercando di distinguere attraverso la foschia ma... nulla. Forse era stato solo un abbaglio. Risalì in macchina e si diresse verso casa. Era quasi arrivato quando, dallo specchietto retrovisore, notò nuovamente qualcosa. Inchiodò all'istante. Col cuore in gola, scese dall'auto per guardare meglio: davanti a sé, una specie di drago ondeggiava in cielo, sostenuto da lunghi tentacoli che sembrava riuscissero a fare presa sull'aria. Dalla bocca non sputava fuoco ma un getto bianco che rafforzava il ghiaccio, già presente dappertutto. Era stato quindi quell'essere a congelare e distruggere tutto? Una scossa di adrenalina lo percorse. Ecco perché era rimasto vivo: avrebbe dovuto uccidere quell'animale. Scese come un fulmine nella rimessa. Prese quante più armi possibile e saltò su una delle moto che aveva nel garage. A tutta velocità si lanciò in direzione di quell'essere. Salì su un promontorio e, arrivato in cima, sparò un razzo di segnalazione per attirare l'attenzione del drago. L'effetto fu immediato: la bestia puntò dritto su di lui e aprì la bocca per sputare il suo getto di ghiaccio. L'uomo, gridando come un folle, cominciò a sparare all'impazzata con una mitragliatrice. Più volte colpì il drago in bocca. Il mostro non emise alcun getto e cominciò a precipitare; sfilò sopra l'uomo, che si beava del suo successo ma, non appena gli fu abbastanza vicino, gli sferrò una zampata infilandolo con un'unghia retrattile. L'uomo morì, felice di aver compiuto il suo destino.

Un'astronave atterrò sul promontorio. Degli esseri antropomorfi, dalla pelle celeste e gli occhi di ghiaccio, scesero da una rampa. Cominciarono a camminare in mezzo a tutto quel ghiaccio, perfettamente a loro agio. Una luce lampeggiante rossa attrasse la loro attenzione. Si avvicinarono e videro il corpo di un umano, infilzato su un palo di ferro che sporgeva dal bordo del dirupo.

Racconti SparsiWhere stories live. Discover now