Crùccio (versione integrale)

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Il suono di un clacson riportò Giulia alla realtà. Il semaforo era scattato sul verde e la macchina che la precedeva aveva già preso un bel vantaggio. Le era successo di nuovo: rapita da quel pensiero ricorrente dal quale non riusciva a liberarsi. Continuava a far girare in testa sempre la stessa scena, ogni volta con particolari diversi. Ma, comunque se la immaginasse, ne usciva sempre sconfitta. Veniva letteralmente investita da un senso di impotenza che la soffocava. Come se una forza oscura negasse la possibilità di uscire alle parole che avrebbe voluto urlare. E la gola, stremata dal vano tentativo di contrastare quella lotta ìmpari, le faceva male. Così come ogni muscolo delle mani, teso spasmodicamente a serrare le dita sul volante. Non si era ancora mossa e un secondo suono di clacson, forte e prolungato, la fece sussultare. Sentì l'adrenalina diffondersi dal diaframma fino alle dita di mani e piedi. Il cuore le batteva all'impazzata. Riprese fiato, allentò la stretta sullo sterzo e ripartì. Fino al semaforo successivo, poco distante, di nuovo rosso. Di nuovo ferma. Ogni volta che si liberava da quel senso di oppressione, le rimaneva un dolore forte, continuo e insistente. Lo percepiva nel petto, in un punto preciso che, tuttavia, non riusciva a toccare. Un dolore reale, impossibile da raggiungere, impossibile da lenire. Il suo respiro era ancora affannato, pesante. Si rendeva conto che non poteva continuare così. D'istinto allungò la mano e insinuò le dita nella borsa in cuoio che teneva sotto il sedile, come a cercare qualcosa a cui appigliarsi. La sua calibro 9 era sempre lì. Il semplice contatto con il metallo freddo la rassicurò e la sua agitazione cominciò a placarsi. Sentì i muscoli rilassarsi a poco a poco e il respiro tornare regolare. Il dolore al petto non era passato ma, in quel momento, riusciva a guardarlo con distacco. Il semaforo scattò sul verde e Giulia ripartì normalmente. Qualche altro incrocio e avrebbe lasciato la parte caotica di quella città. Aveva ancora un po' di strada da fare prima di arrivare a casa.

Mentre guidava, ricordò la prima volta che le venne in mente di tenere in mano una pistola. All'inizio aveva provato una sensazione, inattesa, di ritrovata stabilità. La sicurezza di chi, finalmente, sente di poggiare su qualcosa di solido. Ma più ci pensava, più sentiva diffondersi in lei qualcosa di inspiegabile, molto simile a un'ebrezza. Non aveva mai avuto la passione per le armi, né, tantomeno, un istinto violento. Lei stessa rimase stupita per l'attrazione che provava verso quell'oggetto, ma, a pensarci bene, forse non era così strano. Giulia aveva sempre avuto una buona sicurezza nell'affrontare le persone, se ce n'era bisogno. Uomini o donne, non faceva distinzione. Mai la minima esitazione, anche se più imponenti di lei. Ma da quando, suo malgrado, aveva assistito a una rapina in banca, quella sicurezza si era, in qualche modo, incrinata. Al suo indugiare sullo stendersi a terra, uno dei malviventi le aveva fatto capire che se non avesse obbedito l'avrebbe aggredita senza esitazione. Glielo aveva letto chiaramente nelle movenze, lente ma risolute, e nell'unica parte scoperta del volto: due occhi di ghiaccio che non lasciavano dubbi. Aveva avuto paura e per la prima volta si era sentita realmente vulnerabile. Non si era più liberata da quel timore, ma pensando a un'arma, sentiva che sarebbe riuscita a compensare quella parte di sé che aveva perso in quell'episodio. Finalmente, avrebbe potuto sentirsi nuovamente completa, in grado di affrontare qualsiasi cosa. Non sarebbe mai andata in giro con una pistola, ma il solo sapere di averla a disposizione, la faceva sentire più sicura.

I lampioni, che cominciavano ad accendersi, sfilavano a lato silenziosi, mentre il cielo si tingeva di rosso. Giulia guidava con andatura regolare, godendosi il crepuscolo di quella giornata che stava volgendo al termine. Il suo pensiero volò a quando si era procurata la sua calibro 9. Voleva che la cosa rimanesse segreta. Del resto, non aveva intenzione di usarla contro qualcuno, ma solo di godere della sensazione che le dava. E non aveva certo voglia di dare spiegazioni per quell'attrazione difficile da capire. L'aveva presa da un ricettatore, 'o Piccirillo. Era stato Michele a introdurla. «In quegli ambienti devi essere presentato da qualcuno di fidato, che se ci arrivi da solo rimedi solo un bel pacco», le aveva rivelato. Michele era il collega di origini campane che stravedeva per lei: avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa che lui si sarebbe fatto in quattro. Era gentile, premuroso e accorto. Peccato che a Giulia, Michele non interessasse proprio, indifferenza pura. Però, per queste cose, i tipi come lui erano utilissimi.

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