Jimin quasi si strozzò con la torta (perché dovevano dire queste cose sempre mentre qualcuno stava mangiando o bevendo? Assassini!), ma Yoongi rimase stranamente tranquillò. Prese un po' di gelato con l'impasto e poi lo masticò con cura, annuendo. "Sì, non credo abbia mai mangiato carne di cervo" poi si rivolse a Jimin. "L'hai mai mangiata?".

Jimin era completamente rosso in viso e prossimo ad una crisi di panico. Perché non aveva negato? Cosa significava? Era sveglio? Forse era ancora in coma, a Newark, e non si era mai svegliato perché dopo aver rotto il nano da giardino, i proprietari lo avevano colpito in testa con una vanga. Ma cosa stava pensando all'improvviso? Stava facendo scena muta ad una domanda stupida e sia la nonna che Yoongi lo fissavano senza capire che diavolo gli prendesse.

"Ehm, no, mai-" e poi, "posso avere un po' d'acqua?".

"Ma certo" la nonna di Yoongi si alzò e andò in cucina per riempirne un bicchiere. Rimasti soli, Jimin si voltò verso Yoongi e disse: "Perché le hai detto che-... Le hai fatto credere che--!!"

"Cosa avrei dovuto dirle?" domandò accigliato Yoongi. Era tranquillo, come se tutto fosse perfettamente normale. "Chi avrei dovuto dirle che sei? Cosa siamo, esattamente?". 

Jimin non sapeva cosa dire. Non erano niente, o forse erano qualcosa che non aveva un nome? Qualsiasi cosa fosse, non potevano certa spiegarla alla nonna di Yoongi. "Non lo so" ammise.

"E se non lo sai tu, come speravi potesse capirlo lei?".

La nonna di Yoongi tornò con due bicchieri, uno per Jimin e uno per il nipote. 

Jimin bevve il proprio quasi d'un sorso.

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Per sera, andarono al locale menzionato da Yoongi il pomeriggio precedente. Era un piccolo ristorante ricavato alle pendici in un bosco, abbastanza vicino alla casa della nonna perché potessero raggiungerlo a piedi. "Mi piace moltissimo il silenzio di questo posto. Non ci avevo mai pensato, ma credo che le mie orecchie non siano mai state così rilassate".

"Dovreste montare i doppi vetri alle finestre per attutire i rumori del traffico" suggerì Yoongi, che aveva praticamente insonorizzato la propria stanza per ovviare al problema. Però lui era milionario, Jimin no. 

"Certo, pensavo di farlo subito dopo aver sostituito le maniglie delle porte con quelle in oro placcato. Il ferro è così noioso" lo prese in giro Jimin, e Yoongi gli diede uno scappellotto. 

Dentro la locanda (chiamarlo ristorante era un'esagerazione, secondo Jimin) erano praticamente gli unici clienti, e il proprietario continuava a fissarli incuriosito. Non erano molti i forestieri a Bennington, e quasi mai avevano tratti asiatici. Attiravano la curiosità della gente del luogo, e come se non bastasse erano pure due uomini che uscivano in coppia. 

"Comportiamoci come due amici" suggerì Jimin, che non si sentiva tranquillo.

"Stai scoprendo che l'America rurale non è così aperta come la Grande Mela, eh?" disse Yoongi sedendosi a tavola e iniziando a leggere il menù. Se a New York non importava nessuno se eri asiatico o gay, non si poteva dire lo stesso del resto del paese. Jimin non aveva mai provato prima la sensazione di essere fissato come se fosse un qualche strano animale esotico. E non gli piaceva per niente.

"Come fai a conviverci?" sussurrò.

"Non me ne interesso" gli disse Yoongi "E cerco di non attirare troppo le attenzioni. Queste persone mi conoscono e rispettano la mia famiglia, non mi darebbero mai fastidio" disse poi, lasciando intendere che tutta quella curiosità era causata dalla presenza di Jimin.

Ordinarono due hamburger (genuini, fatti con carne di animali vissuti in libertà e verdure coltivate negli orti) e bevvero Pepsi (in quel posto non vendevano Coca Cola e Jimin proprio non capiva per quale ragione fosse così). Finito di cenare, si affrettarono a lasciare il ristorante e passeggiarono di nuovo verso casa.

"Ho scoperto più cose del mondo oggi che in vent'anni di vita" disse Jimin.

"Ventitré" sottolineò Yoongi, "Cosa fai, già ti togli gli anni?".

Jimin rise e scosse la testa. "Che scemo! Hai capito cosa intendevo".

"Succede quando si allargano i propri orizzonti. Avevi detto di non essere mai uscito da New York, e ora lo hai fatto. Era scontato che avresti imparato qualcosa".

"Non credevo" disse Jimin. "New York è la città più cosmopolita del mondo, credevo che vivendo lì avrei conosciuto tutto ciò che c'era da sapere".

"New York è un circo" disse Yoongi "Un bello spettacolo, una recita. Non hai conosciuto ancora nulla del mondo, Jimin. E aspetta di farti il passaporto e passare qualche mese a Seoul..."

Jimin scoppiò a ridere a quella proposta. "E dove li trovo i soldi? Hai idea di quanto costi un biglietto per la Corea?".

Yoongi si accigliò. "Stai lavorando, no? Prima o poi riuscirai a mettere da parte abbastanza soldi per farlo, e scoprirai una realtà completamente diversa rispetto New York e il Vermont".

Jimin non dubitava fosse vero. Del suo paese natale non sapeva quasi nulla, ma Yoongi ci aveva vissuto parecchio e doveva aver fatto il callo alla cultura dei loro connazionali. Jimin ne aveva avuto un assaggio alla scuola cattolica di coreano e aveva ancora i brividi. 

"Yoongi" Jimin si fermò fuori, sul vialetto di casa, e il principe arrestò il proprio passo. Jimin gli prese le mani e gli si avvicinò, poi posò un bacio sulla sua bocca e chiuse gli occhi. Yoongi sospirò contro le sue labbra e gli passò le braccia attorno alla vita, ricambiando il suo bacio. Era dolce, ed era molto più di quanto meritasse. Lo cullò a sé e continuarono a baciarsi finché ebbero fiato per farlo. Quando si staccarono, avevano entrambi le guance rosacee e il respiro più corto.

"Andiamo in camera?"

"E tua nonna?"

"Non preoccuparti, è l'ora della messa. Non sarà di ritorno per un po'".


one | prince to kiss ; yoonminWhere stories live. Discover now