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Sei giorni.

Sei lunghi, interminabili giorni senza nemmeno un cenno da parte di Yoongi. Niente. Non una chiamata, né un messaggio, una emoji, un segno di vita. Nulla. Caput. Era come se si fosse volatilizzato nel nulla cosmico. Jimin non se l'era presa. La stava affrontando bene, da vero uomo. Aveva iniziato ad accettare (dove per accettare si intende: mangiare confezioni intere di gelato guardando film deprimenti alla tv) l'idea di essere stato solo un nome in più sulla lista di scopate da una botta e via di Yoongi.

Era ormai entrato nella fase B della depressione (quella dove si inizia a valutare l'idea di farsi i capelli di un colore assurdo fingendo che basterà quello per dare una svolta decisiva alla propria vita) quando ricevette un segno di vita. Un messaggio. Non ci poteva credere.

"Sei mai stato ad una cena di beneficienza? Perché domani sera ne hanno indetta una e io non ho nessuno con cui andarci. Vestiti bene."

Non aveva nemmeno aspettato una risposta, era chiaro. Yoongi aveva deciso da solo che Jimin avesse passato tutto il tempo ad aspettarlo e che fosse ovviamente disponibile ad uscire con lui. Non gli era nemmeno passato per la testa che potesse avere altri impegni? Un appuntamento, magari? Una maratona di telenovelas da affrontare con l'ennesima confezione di gelato menta e cioccolato?

Nelle mente di Jimin balenarono mille possibile risposte, una più perfida e affilata dell'altra. Le cancellò tutte prima di inviarle, e scrisse, invece: "Okay. Ma dove ci vediamo? Passi a prendermi a casa?" proprio se lo immaginava lo sguardo di sua madre nel vedere che ora il figlio con l'amante facoltoso era lui. Avrebbe accettato un rampollo omosessuale in Lamborghini? O avrebbe continuato a fingere che Jimin fosse etero e frequentasse ragazze di buona famiglia? L'idea lo fece gongolare, ma durò poco. Pochissimo.

"Non sono un servizio di taxi. Ti do l'indirizzo e ci vediamo lì."

Che stronzo, pensò Jimin. Una persona normale lo avrebbe liquidato con qualche frase stizzita e si sarebbe organizzato diversamente per il weekend, ma Jimin era un sottone, e aveva aspettato questo momento per SEI LUNGHI GIORNI DI INFERNO quindi poteva mettere una pietra sopra a questa faccenda e ... camminare? Prendere il bus? Avrebbe improvvisato.

Il vero problema era un altro. L'occasione più formale a cui era stato era il diploma di una sua compagna di classe, Alexis, che viveva nel Bronx e non era di certo benestante. Avevano organizzato un barbecue nel giardino di casa e si erano ubriacati bevendo punch da supermercato seduti sul porticato. In quell'occasione aveva indossato una camicia di suo padre, che aveva le spalle molto più larghe delle sue e con indosso quella sembrava sempre un ragazzino delle superiori.

Aveva bisogno di un completo elegante, e non aveva idea di dove procurarselo. C'era solo una persona che poteva aiutarlo, un ragazzo che aveva conosciuto alla scuola coreana che i genitori gli obbligavano a frequentare nel weekend ("Non puoi non imparare la lingua! La cultura! Un giorno torneremo in Corea e ci sarai grato di averti obbligato ad andarci!"). Si chiamava Jungkook ed era fissato con la moda. Comprava tutte le riviste e disegnava su un foglio i miglioramenti che per lui era necessario apportare a questo o quel brand di alta moda. Un fissato. Un sacco di volte lo aveva trascinato a sfilate noiosissime di brand sconosciuti e si era sorbito le sue lamentele su stilisti, modelle, eccetera eccetera. Avrebbe saputo consigliarlo, ne era certo.

"Ho bisogno di te" gli scrisse. La risposta non tardò ad arrivare.

"Hai deciso FINALMENTE di dare fuoco al tuo armadio e iniziare a vestirti in modo decente?"

Jungkook insisteva che Jimin si vestisse ancora come un ragazzino, che dovesse iniziare a buttare via tutte le felpe da skater e comprare qualcosa di più adeguato ai suoi ventitré anni. Jimin non ci pensava proprio. Vestirsi come un vecchio lo avrebbe fatto sentire come la fotocopia sbiadita di suo padre... Non ci teneva particolarmente.

"No. Ho bisogno di un completo elegante per una cena di beneficienza"

"Bella questa. Pensi di prendermi in giro?"

Così Jimin gli spiegò tutto, elargendo dettagli dove era necessario e tacendone alcuni che sarebbe stato troppo imbarazzante confessare. Era la prima persona a cui parlasse di Yoongi, del modo in cui si erano conosciuti, del sapore che avevano avuto le labbra del principe quando le aveva baciate la prima volta. Si sentì così leggero, quando finì. Era come essersi liberato da un peso enorme. Non aveva mai avuto un segreto prima di allora, e aveva scoperto che non gli piaceva averne.

Jungkook non poteva crederci. Lo chiamò, anziché scrivergli.

"Questo tizio non devi fartelo sfuggire. Guai a te se ti comporti da psicopatico e lo fai scappare! Intesi? Voglio vedere le foto. Sono su Google, come hai detto che si chiama?"

Jimin sentì le orecchie diventargli calde per l'imbarazzo. "Min Yoongi" disse, con il telefono pressato tra l'orecchio e la spalla.

"Non è il mio tipo, ma riconosco che ha qualcosa di sexy. Ha un po' la faccia da stronzo o sbaglio?"

"Sì, ha un carattere... Particolare. Ma hai capito che ho bisogno di un completo? Con urgenza, per domani, e non ho idea... Non ho idea di come ci si debba vestire per determinate occasioni! Di che colore? Cravatta o senza? E le scarpe? Non posso andarci con le Nike..."

"Domanda numero uno... Qual è il tuo budget?" 


one | prince to kiss ; yoonminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora