Capitolo 1 🌻

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Isabel

Sto fumando una sigaretta fuori dall'ospedale. C'è un vento gelido che mi sferza il viso e che mi fa venire la pelle d'oca, le mie mani sono così intorpidite che inizio a non sentire più le dita; è maggio e fa un freddo cane qui a Greenville. È da quando sono arrivata, una settimana fa, che piove e le temperature non accennano ad aumentare, non ho nemmeno una giacca e sto letteralmente congelando; dovrei rientrare e stare al caldo, ma non riesco a restare seduta in quella sala d'aspetto, con mia madre Luise, aspettando un responso.

Mio padre è là dentro, al di là delle porte scorrevoli del Pronto Soccorso. Sembrava stesse bene, ho sempre pensato che fosse un uomo forte e invincibile, e invece oggi, mentre stavamo portando i nostri cavalli nei box dopo una cavalcata, lui si è accasciato a terra e non si è più svegliato. Abbiamo chiamato l'ambulanza e adesso, due ore dopo, eccoci qui, madre e figlia in attesa di notizie. Non so cosa sia successo, non so se mio padre si sia svegliato, né se stia bene. Non so niente di niente e quest'agonia mi sta uccidendo.

Dicono che non ti rendi conto davvero di quanto vuoi bene a una persona, finché non stai per perderla. Ora capisco quanto quest'affermazione sia vera. L'ho detestato, un'infinità di volte ho litigato con lui e gli ho permesso di ferirmi, come nessun altro ha mai fatto, ma è mio padre e non voglio perderlo.

Così, mentre fisso imbambolata la scritta GREENVILLE HOSPITAL sopra la porta d'entrata, l'unica cosa alle quale riesco a pensare è che non gli ho mai detto che gli voglio bene, non di recente, non negli ultimi anni almeno; una lacrima mi scivola furtiva sulla guancia, nel momento in cui mi rendo conto che, forse, non avrò più modo di dirgli che, nonostante tutto, è il mio papà e io tengo molto a lui. Più ci penso, più le mie lacrime bruciano e mi scottano le guance, anche se il vento freddo le spazza via, dandomi un po' di sollievo, almeno in viso.

"Bels, vieni. Il dottor Marshall vuole vederci." Mia madre, che è venuta a chiamarmi, guarda la sigaretta ormai spenta che tengo tra le dita intirizzite, ma non commenta. Anche lei è troppo preoccupata e immersa nei suoi rimpianti per curarsi del fatto che io fumi. Getto il mozzicone e la seguo, accarezzandole la schiena in segno d'incoraggiamento.

"Andrà tutto bene", le dico per darle un po' di coraggio, anche se non ne ho nemmeno per me.

L'infermiera ci accompagna in uno studio piccolo, ma confortevole, dove ad aspettarci troviamo il dottor Iron Marshall, che ci saluta con un'espressione indecifrabile in volto. Il quarantenne col camice bianco non sembra né sereno né preoccupato, il che non fa altro che aumentare la mia apprensione.

Cosa dovrà mai dirci quest'uomo? Dalla sua faccia imperturbabile, non sembra nulla di buono. "Allora, signora e signorina Black, per ora Paul è fuori pericolo ed è stabile, ma la situazione non è per niente semplice. Lo dissi a lui tre mesi fa e ora lo ripeto a voi. Paul è malato e avrebbe dovuto fare ulteriori esami per approfondire il suo stato di salute, ma lui non ha mai voluto ascoltarmi e ora che abbiamo la conferma delle nostre ipotesi, le sue condizioni sono critiche. La sua malattia non è da sottovalutare e bisogna prendere provvedimenti immediati, prima che sia troppo tardi."

Resto a bocca aperta. Mio padre è malato, è malato da tre mesi e io non sapevo assolutamente nulla. Guardo mia madre alla disperata ricerca di spiegazioni e la vedo abbassare la testa sommessamente, al che, anche il medico capisce che io sono all'oscuro di tutto.


"Mi dispiace, Luise, ma vista la gravità delle cose, credo che sua figlia debba sapere", si giustifica lui.

Come in un sognoWhere stories live. Discover now