Capitolo 9 🌻

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Isabel

Sono un'idiota, letteralmente un'idiota patentata.

Guardo Jack e aspetto che se ne vada da un momento all'altro; me lo meriterei. L'ho fatto venire qui, mi sono buttata su di lui, scoppiando a piangere come una bambina, e quando lui, più che giustamente, mi ha chiesto spiegazioni, io gli ho risposto che non mi va di dargliele ora.

Lo guardo in tutta la mia vulnerabilità, vergognandomi del mio comportamento da ragazzina, e aspetto che se ne vada, che vada a fare qualcosa di più interessante che stare con una piagnucolona maledettamente riservata.

Jack mi osserva con i suoi occhi chiari e limpidi, con uno sguardo carico di pena, o forse di dolcezza, di preoccupazione? Che importa, tanto ora mi lascerà sola, come hanno fatto tutti; e invece Jack mi stupisce, si avvicina al mio viso e mi asciuga una guancia con il dorso della mano.

"Ok, non fa niente. Pulisciti gli occhi, piccolo panda, andiamo a mangiare qualcosa, ti va?" Vorrei abbracciarlo, per ringraziarlo del gesto e per non aver insistito o non essersene andato.

"Aggiudicato!" esclamo, sinceramente contenta della sua presenza.

"Perfetto, ma spostati. Dopo gli ultimi avvenimenti, se non ti spiace, guido io", mi canzona, strappandomi un sorriso.

Era parecchio tempo che non litigavo con papà, che non mi sentivo sbagliata e insignificante, come solo lui riesce a farmi sentire. Quando oggi ha scoperto che sono andata a pranzo con Jack, mi ha fatto una sfuriata con i fiocchi. Ho cercato di spiegargli che il figlio di Arthur era stato gentile con me, che era un bravo ragazzo e che in fin dei conti gli aveva salvato la vita, motivo per cui ero uscita con lui. Ho cercato anche di spiegargli che non gli avevamo detto tutta la verità sulla sua cura solo perché sapevamo che si sarebbe arrabbiato, ma non c'è stato verso di farlo ragionare.

Dal disprezzo che leggevo nei suoi occhi mentre parlavo, sapevo benissimo che non gliene fregava niente dei miei perché e che tutti miei discorsi non sarebbero serviti a nulla.

Ho disubbidito alle sue regole di vita; prima fra tutte: non fraternizzare col nemico nemmeno in punto di morte. A lui non importa nient'altro; l'ho semplicemente deluso per l'ennesima volta e lui non ha certo risparmiato le parole per dirmelo.

"Non me ne frega un cazzo delle tue scuse. Jack McCoins potrebbe essere un santo per quanto mi riguarda, ma tu sei mia figlia, sei una Black, non puoi fare quello che vuoi. Mi hai mentito, mi hai deluso! Come sempre te ne freghi di tutti e pensi solo a te stessa!" ha sbraitato rabbioso.

Se mi avesse sferrato un pugno nello stomaco mi avrebbe fatto meno male e la cosa peggiore è che questo è solo l'inizio. Gli ho salvato la vita, pagandone il prezzo con la mia libertà e lui non lo saprà mai. Non so come potrò dirgli che farò coppia fissa con il figlio dell'uomo che odia di più al mondo.

Se ora pensa che io sia un'egoista, cosa succederà nei prossimi tre mesi? Mi distruggerà e io non potrò fare niente, nemmeno scappare.

Ecco a cosa pensavo mentre, guidando in lacrime, ho fatto cadere la sigaretta sul sedile, rischiando un incidente mortale. Ma come posso dire tutto questo a Jack?

Non so cosa fare, non posso mentire anche a lui, devo avere almeno una persona con cui poter essere sincera, con cui poter essere me stessa, senza intrighi, bugie e sotterfugi. Il punto è che non voglio scaricare sulle sue spalle un peso così grande.

Lo farei solo sentire in colpa e non credo che se lo meriti; come me, anche lui è soltanto una vittima degli sporchi giochi di quell'ignobile di Arthur. Inoltre, non è un problema suo, il problema siamo io e mio padre.
Anche se credo che a spingermi al silenzio sia più di tutto il senso di protezione che ho nei confronti di Jack, quel moto da mamma chioccia che manifesto sempre verso le persone a cui tengo.

Come in un sognoWhere stories live. Discover now