15 I POTERI DEL DEMONE

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Quel giorno, Therar non si era presentato nelle prigioni. Al suo posto c'era una giovane guardia un po' assonnata a cui doveva ancora crescere del tutto la barba.

In compenso, la principessa Pheanielle, come sempre, non si stava perdendo l'allenamento mentre Dazira continuava a trasformare le sue mani in grinfie e a ritrasformarle mantenendo il controllo del suo corpo.

La ragazza non capiva proprio cosa spingesse la principessa a sorbirsi degli allenamenti tanto noiosi, ma le faceva piacere, in fin dei conti, la sua presenza.

Era l'unico volto conosciuto che si presentava, fatta eccezione per il suo maestro e, in qualche modo, alleviava silenziosamente la sua solitudine.

Persino Ladon non era più andato a trovarla: era di certo più di un mese che non lo vedeva.

In fondo, Dazira lo capiva. Aveva visto come lui l'aveva osservata: era rimasto sconvolto da quello che lei era diventata... dal fatto che non sarebbe più stata la ragazzina che lui aveva cresciuto. Non era stato facile nemmeno per lui, e Dazira lo sapeva, benché le facesse male.

Se c'era una persona che, in tutta quella storia, Dazira non condannava, quello era Ladon. Sapeva di averlo deluso: gli aveva mentito, aveva rubato le sue mappe, l'aveva umiliato di fronte a tutta la corte ed era diventata l'esatto opposto di ciò che lui aveva sempre voluto per lei.

Ladon era il suo più grande rimorso, anche più grande della delusione provocata ad Ernik.

Aizzò gli artigli contro quello che restava del sacco più e più volte. Negli ultimi giorni aveva raggiunto una certa padronanza di questa sua nuova capacità.

Con passo silenzioso, Therar raggiunse gli spettatori. Era vestito di nero, come al solito, ma aveva gli stivali sporchi di fango.

Salutata la principessa, il ragazzo si avvicinò alle sbarre con un sorriso soddisfatto. «Molto bene! Per oggi può bastare! Direi che sei pronta per qualcosa di nuovo... Riposati, Dazira, che domani sarà una giornata impegnativa!» Poi si dileguò di nuovo, seguito dalla guardia.

Con grande sorpresa di Dazira, la principessa si avvicinò alla cella aggiustandosi i ricci scuri dietro le orecchie e le sorrise. «Lo so che è irritante» affermò in tono comprensivo con un cenno del capo nella direzione ove era scomparso il suo maestro. «Ma ha ragione. Sei migliorata molto... mio padre potrebbe pensare di farti uscire se continuerai a migliorare!»

E quelle parole scaldarono il cuore di Dazira, tanto che la ragazza non poté trattenere un sincero sorriso mentre la speranza si faceva strada dentro di lei.

Un giorno sarebbe uscita, se ne sarebbe andata da quel luogo buio e macabro. Un giorno, forse, non troppo lontano.

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Therar entrò nella stanza in penombra, la cui luce naturale filtrava debole da due feritoie, benché, di fuori, fosse una giornata molto assolata.

Il principe stava parlando con un uomo basso e tarchiato che gli stava mostrando concitato dei documenti.

Arthis annuì a quello che gli aveva detto l'uomo e lo congedò con sterile gentilezza, come era solito fare.

Da un po' di tempo a questa parte, Arthis aveva ripreso un po' di respiro e il suo più grande problema, ora, era la minaccia incombente che proveniva dal nord e che stava sfondando le file alleate. I loasiani, infatti, stavano dando del filo da torcere al confine con Sartesia e Forterra era costantemente costretta ad inviare rinforzi.

Quando l'ospite di Arthis fu uscito, Therar avanzò nella sua direzione e si sedette in silenzio sulla sedia di fronte alla scrivania del principe, in attesa che gli fosse spiegato il motivo della sua convocazione.

«Sto pensando che forse non sono una grande idea questi allenamenti...» iniziò Arthis senza sedersi.

Therar annuì inespressivo. «L'avete sempre pensato... ma ora sto ottenendo dei risultati. Ci vorrà del tempo, ma il re avrà ciò che vuole, se ancora lo vuole» affermò freddamente mentre osservava il principe camminare avanti e indietro senza perdere la sua compostezza.

«Ahimè, lo vuole».

«Tra qualche mese lo avrà».

Arthis, in risposta, sbuffò e si sedette sulla poltrona dalla parte opposta della grande scrivania che troneggiava nel suo studio spartano. Poi scosse la testa, come a voler cancellare un pensiero e si voltò verso il ragazzo: «Mia sorella Pheanie mi ha detto che sei entrato nella cella e hai tentato di provocare il demone».

«Con successo, aggiungerei» ammise la spia con una nota di divertimento nella voce.

Il principe aggrottò la fronte con aria di rimprovero. «Era proprio necessario?»

«A quanto pare».

«Mi ha detto che ti sei ferito...» continuò Arthis grattandosi il capo mentre ignorava apertamente il tono irriverente di Therar.

«E io che credevo di essere la spia migliore a corte!»

A quanto pareva, aveva voglia di scherzare. «Attento, Therar: stai sempre parlando della tua principessa!» lo avvertì il principe in un mezzo sorriso. Poi increspò le labbra in una smorfia di disapprovazione. «Pensi che non veda il suo interesse nei tuoi confronti? Non so cosa diavolo le stia passando per la testa, ma spero vivamente che tu non le dia modo di alimentare questo suo piccolo... fuoco».

«Ah, ecco il vero motivo della convocazione! E io che pensavo foste preoccupato per me...»

«Non sono in vena di scherzi» lo interruppe Arthis sottolineando le sue parole con un gesto della mano. Poi ci pensò un po' e guardò Therar fisso nei suoi occhi scuri. «È successo qualcosa?» domandò con serietà.

«No, mio signore».

Il principe sospirò per il sollievo. Sapeva che Therar era un uomo professionale, ma talvolta era difficile da interpretare. «Bene. Fa in modo che la situazione resti tale, allora!» lo ammonì.

«Certo, principe Arthis. È tutto?»

«Sì, direi di sì» Therar, a quelle parole, si alzò dalla sedia e fece per avviarsi verso l'uscita, quando la voce del principe lo fermò di nuovo: «Ah... Therar... vedi di restare intero fino alla prossima riunione!» esclamò con una chiara ammonizione per il suo atteggiamento nei confronti del demone.

Il ragazzo annuì ed uscì dallo studio nascondendo un sorriso divertito.

LA QUINTA LAMA (I) - L'assassinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora