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L'urlo di Dazira risuonò per tutta la prigione. Era un pianto misto ad orrore.

Il sangue sgorgava fluente dalla pelle lacerata ed in parte ustionata del ragazzo, mentre si fondeva con un colloso liquido nero.

Ormai, erano diverse ore che reprimeva quella sensazione. Dazira sapeva che prima o poi sarebbe esplosa. Avrebbe dovuto far uscire quel ragazzo.

«Vi prego!» aveva strillato ancora la ragazza in cerca di aiuto, afferrando le sbarre con le mani mentre cercava di scorgere qualcuno. Ma nessuno sembrava averla udita.

Lui, in conseguenza alla sua reazione, si era allontanato tremando da lei e si era rannicchiato nell'angolo della cella nella speranza che qualcuno avesse pietà di lui. Ma non era successo e, ad un certo punto, lei non ce l'aveva fatta più e il Nero era uscito trionfante dalla sua gabbia di carne.

Dazira si gettò sul corpo esanime del giovane con le lacrime che sgorgavano impetuose almeno quanto il sangue. «Scusami!» gridò nel pianto. «Io non volevo! Non volevo! Non ho mai voluto! Scusami!»

La cella apparve, allora, più piccola di quanto già non fosse mentre Dazira tentava di andarsene da quello scempio. Voleva evadere da tutta quella storia, voleva solo farla finita! Al tempo stesso, però, non voleva morire.

Così era lì, posata con le ginocchia sulla pietra consumata mentre le catene in ferro pesavano e le segnavano i polsi e le caviglie facendola sanguinare un poco.

«Smettila di piangere, mocciosa!» esclamò la voce profonda e glaciale di un ragazzo che lei non aveva nemmeno sentito arrivare.

Quando si voltò, con gli occhi gonfi, dall'altra parte delle sbarre, scorse una figura piuttosto alta che la fissava. Qualcuno che Dazira aveva visto una volta, e di certo non sarebbe riuscita a dimenticare: era lui, il ragazzo che aveva incrociato nel corridoio la sera prima... o, forse, quella prima ancora! Era davvero difficile individuare riferimenti temporali in quel posto così tetro. Per quanto la riguardava, poteva essere passata anche una settimana, se non fosse stato per le necessità giornaliere del demone.

«Io... io non volevo!» gridò di nuovo, tra le lacrime. «Ci ho parlato... stavamo facendo amicizia... non volevo ucciderlo! Non volevo uccidere nessuno, davvero!»

Ma il ragazzo, alle sue urla, non fece una piega. Continuò ad osservarla con un'espressione dura e distaccata. «Ci hai fatto amicizia. Sei proprio una bambina» dichiarò il ragazzo scuotendo la testa con un sorriso amaro «E pure scema, aggiungerei!»

Con un tono autorevole, l'uomo fece portare via il corpo dalla cella. Ma il sangue rimase lì, a ricordarle l'assassina che era diventata.

La ragazza ricominciò a singhiozzare, sedendosi accanto alla macchia di sangue mentre si cingeva le ginocchia con le braccia e ci affondava il capo.

«Assurdo che io debba lavorare con te» affermò il ragazzo, guardandola con disgusto mentre lei sollevava il capo alla ricerca del significato di quelle parole.

«Che vuoi dire?» piagnucolò lei.

«Che, a quanto pare hanno deciso di graziarti. Ringrazia il bibliotecario» spiegò risoluto, con le braccia incrociate dietro la schiena e la postura rigida, quasi avesse inghiottito un blocco di granito. «Ma, da oggi, avrai a che fare con me. E ti assicuro che non sarà un divertimento per nessuno dei due!»

LA QUINTA LAMA (I) - L'assassinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora