2 NERO TERRORE

345 26 10
                                    


Erano ormai parecchi minuti che Ernik la stava aspettando. Strano da parte sua non presentarsi: a quell'ora, tutti i reali erano a pranzo e Dazira avrebbe dovuto essere lì, come al suo solito.

Ma lei non c'era.

Al suo tavolo, proprio davanti a lui, stava Kaspiro, intento ad ingurgitare tutto ciò che aveva nel piatto.

Ernik sbuffò guardandosi intorno: vi era un via vai di gente continuo che percorreva la sala spartana di mediocri dimensioni dove i domestici erano soliti incontrarsi.

Non vi erano tappeti, quadri o ornamenti, nella stanza vi erano a malapena delle finestre. Tuttavia, qualche cortigiana aveva creato delle tende con delle stoffe riciclate da chissà dove e sui piccoli tavolini era stato disposto qualche centrino e qualche utensile in legno realizzato dagli uomini a tempo perso.

C'era spesso un gran chiasso lì dentro: era costante il chiacchiericcio delle domestiche, e il fragore delle posate che sbattevano sul piatto.

Quella stanza era quasi sempre occupata poiché, nel castello, i domestici non riposavano mai tutti insieme e, benché l'ambiente non fosse propriamente armonico, la convivialità regnava sovrana e tutti - o quasi - trascorrevano il proprio tempo libero al suo interno.

A Dazira, in verità, non era mai piaciuta quella sala. Forse perché di rado si sedeva con le altre ancelle reali. A dire il vero, Ernik non ricordava l'ultima volta che aveva visto Dazira spettegolare in mezzo a loro.

In quel momento la vide arrivare.

Stava avanzando ad occhi bassi nei suoi abiti da lavoro con in mano una pagnotta, un pezzo di formaggio e una pera.

Ernik notò subito che qualcosa non andava. Forse Belisa si era di nuovo lamentata di lei. Dazira attraversò la stanza e si sedette di fianco a loro senza dire nulla o alzare lo sguardo.

I due ragazzi si guardarono e Kaspiro scosse le spalle per fargli capire che non era a conoscenza del motivo per cui Dazira non li aveva nemmeno salutati.

Ernik sbuffò scuotendo la testa: quella maledetta peste, di certo, era ancora arrabbiata con lui!

«Pensi di tenermi il broncio ancora per molto?» le chiese in tono di sfida passandosi una mano tra i corti capelli biondi tutti scompigliati per sistemarseli.

La ragazzina aggrottò la fronte e lo sguardo le s'indurì ancora di più. «Non gira tutto intorno a te, Ernik!» sbottò in tono un po' troppo alto, tanto che, per un istante, il tavolo delle ancelle si zittì.

Bene. A quanto pareva, non era giornata.

«Beh...?» insistette il ragazzo mentre Kaspiro, di fronte a lui, nascondeva una risata dietro ai suoi lunghi ricci rossi. «Che hai?»

Dazira non rispose e addentò nuovamente la pagnotta senza guardarlo.

«Lascia stare, amico!» li interruppe Kaspiro con un movimento eloquente della mano guardando la ragazza con un sorriso di scherno. «Sarà la settimana sbagliata...»

In tutta risposta, Dazira si voltò di scatto verso di lui lanciandogli un'occhiata in grado di incenerirlo.

Ernik sapeva che il suo amico, quando si impegnava, sapeva essere un idiota. E lo sapeva anche Dazira, ma quando era nervosa, per lei era difficile tollerarlo. Così Ernik decise di cambiare discorso, prima di essere costretto ad assistere ai funerali di Kas: «Trovato niente ieri sera?»

Dazira si bloccò con il formaggio a mezz'aria e la postura rigida, tanto che sembrava avesse inghiottito una scopa.

I suoi limpidi occhi azzurri erano puntati sul boccale d'acqua che aveva di fronte e, per un lungo istante, rimase apparentemente congelata con lo sguardo serio e la mente visibilmente avvolta dai pensieri.

Infine, con uno scatto, si alzò dal tavolo e, così come era arrivata, scomparve dietro la soglia con gli occhi indispettiti e sconcertati di Ernik puntati sulla sua schiena.

Non si era mai comportata così e, a dirla tutta, era stata una gran maleducata.

«E dicono che peggiorano, pure, con il tempo! Anche se, per come la vedo io, possiamo essere ottimisti: può solo migliorare» commentò Kaspiro ridendo mentre addentava l'ultimo boccone.

Ernik, ancora innervosito, scosse le spalle per scacciare quella fredda sensazione. Avrebbe chiarito con lei più tardi e si aspettava delle scuse... o, quantomeno, delle spiegazioni.

●●●

Lord Tisdale la stava attendendo al cospetto di suo padre, ma più Pheanie si sentiva costretta a partecipare a questi forzosi incontri, più la repulsione verso quel matrimonio sembrava ucciderla dentro.

Balia Belisa, d'altro canto, era entusiasta mentre la addobbava a festa come una bomboniera, con quel pomposo abito verde smeraldo che lei diceva essere un vero spettacolo.

«Suvvia, bambina!» la esortò Belisa. Nonostante avesse già compiuto i ventotto anni, la balia non aveva mai smesso di trattarla come quando le correva dietro per il castello con l'intento di insegnarle le buone maniere. «Un sorriso potreste anche farlo!» la rimproverò. «Sembra che stiate andando ad un funerale!»

Pheanie scosse la testa e sorrise di rimando per la schiettezza dell'anziana signora, ma, in cuor suo, sentiva che balia Belisa non era andata molto lontana dalla realtà. Era il funerale della sua emancipazione... di quel poco di libertà che le era stato concesso.

Quel giorno avrebbe visto per la seconda volta il suo futuro sposo, ma, dato lo stato delle cose, avrebbe preferito sposarlo senza dover essere costretta a fingere entusiasmo in sua presenza nei giorni precedenti alla cerimonia.

«Dazira!» esclamò scocciata la balia voltandosi verso la ragazza che stava proprio dietro di lei. «Ti ho chiesto il nastro amaranto... Stai dormendo, mocciosa?»

La ragazzina non rispose. Si avvicinò al cassettone dei nastri e vi frugò in mezzo. Effettivamente, Pheanie ebbe l'impressione che la ragazzina non dormisse da un po', tanto erano scavate le sue occhiaie.

«Belisa, qui abbiamo quasi finito... so per certo che mia sorella Edilla aveva richiesto il tuo aiuto per la scelta dell'abito di stasera...» affermò Pheanie in tono neutro con una nota di malinconia.

La balia la guardò torva per qualche secondo interrompendo i suoi abili movimenti con il nastro intorno alla vita della principessa.

Dopo una piccola replica sull'importanza della serata e di quell'abito, la balia si congedò e Pheanie fu certa che fosse ben felice di farlo poiché, tra le due, Pheanie non era mai stata la sua preferita: Edilla le dava molte più soddisfazioni; non solo perché era incredibilmente bella, ma anche per la sua innata leggerezza e grazia nel portamento e la sua attitudine a svolgere ciò che si addiceva ad una principessa.

Non appena la balia uscì, Pheanie tirò un sospiro di sollievo. Non ce la faceva più a sentirsi dire quanto fosse fortunata ad aver trovato un marito con una così bella tenuta tra i colli e il fiume... ovviamente tralasciando il dettaglio che non lo conoscesse nemmeno, né che la sua futura casa si sarebbe trovata nel regno di Sartesia, a poca distanza dal confine con il regno di Loas, ovvero nella zona più soggetta ad attacchi da parte dei loasiani.

La principessa si sedette guardando appena la ragazzina che, con un nastro in mano, la attendeva in piedi con la sua stessa espressione.

Poteva farcela. Poteva andare alla sala del trono e sopportare per qualche ora la presenza di un uomo che forse non era nemmeno tanto male come Pheanie pensava.

Si alzò e si guardò al grande specchio dalla cornice d'ottone: i capelli neri le scendevano da un lato ed erano stati annodati in parte in una graziosa acconciatura. Nel complesso, si poteva quasi considerare carina, eccetto per quell'espressione funerea che il trucco mascherava appena.

Si voltò verso Dazira, la sua ancella da qualche mese che aveva sostituito Juisila, assunta in un'altra corte come balia. Lo sguardo era basso mentre le sue mani erano intente ad allacciare un enorme nastro sul davanti della gonna.

«Quando hai finito qui, prenditi la giornata libera, ragazza» le ordinò addolcendo lo sguardo. «E se balia Belisa si oppone, riferiscile che sarò disponibile per confermarlo personalmente».

La ragazzina sgranò gli occhi che, per qualche istante, parvero illuminarsi. Poi Pheanie si lisciò la gonna e, infilate le strettissime scarpe ricoperte di tessuto verde, si fece scortare fuori dalla sua stanza.

LA QUINTA LAMA (I) - L'assassinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora