Nelle mani degli scienziati

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Nell'aprile del '43, ai fabbricanti dell'orrore, si unisce il dottor Carl Clauberg, ginecologo esperto di sterilità femminile: si occuperà della sterilizzazione di massa, senza distinguo stavolta fra zingare ed ebree.
Si parte da bambine tra gli otto e dieci anni.

La pratica consiste nell'iniettare un liquido corrosivo all'interno dell'utero.
Due mesi dopo, Clauberg comunicherà a Himmler il suo ultimo risultato: aver scoperto un modo per sterilizzare più di mille donne al giorno.

Alle torture degli esperimenti, si aggiungerà la beffa: le orchestre zingare, volute dalle Ss, faranno da colonna sonora alla morte attuata.

Oltre allo Zigeunerlagr di Birkenau, una delle concentrazioni principali degli orrori della sperimentazione umana fu il lager di Dachau.

Alla soluzione finale (conclusasi nella notte tra l'1. e il 2. agosto 1944 ad Auschwitz con l'uccisione tramite gas dei 4000 rom, che si aggiunsero alle 20.000 persone rom e sinte deportate nel campo di sterminio) vennero risparmiati solo 24 gemellini, prontamente inviati al dottor Mengele.

Il campo BIIe di Birkenau, era per le  famiglie, lo Zigeunerlager.
Era un recinto solo per gli zingari, vicino ai crematori, dove gli zingari vivevano in condizioni particolari, vale a dire diverse da quelle di tutti gli altri prigionieri. Ma solo diverse, non migliori.
Perché va subito sottolineato il fatto che non è suffragabile l'ipotesi per cui i rom avrebbero dovuto vivere: forse, avrebbero potuto morire in modo diverso.
Ma il loro destino di morte non è discutibile: del resto non si spiegherebbe diversamente l'ordine di internali proprio ad Auschwitz, all'epoca già trasformato in campo di sterminio.

Nello Zigeunerlager rom e sinti erano radunati in una sezione speciale, circondata da filo spinato attraversato da corrente elettrica ad alta tensione.
Le famiglie restavano unite: uomini con donne, genitori con figli, mariti con mogli.
Subito destinati alle loro baracche, appena arrivati erano tatuati e rasati a zero, ma poi nessuno si preoccupava più dei loro capelli, che ricrescevano. Le donne potevano partorire (il primo bimbo venne alla luce l'11 marzo 1943, quando il lager esisteva da pochissimo tempo, e da quel giorno vennero regolarmente registrate nascite), nessuno lavorava e, soprattutto, i prigionieri rom e sinti non erano sottoposti alle terribili selezioni per le camere a gas, prassi, invece, per tutti gli altri deportati.

Una volta entrati nell'area BIIE rom e sinti erano, in definitiva, quasi abbandonati alla loro sorte.
Molti altri prigionieri, che li vedevano da altre sezioni del campo, consideravano tutto questo un privilegio. E purtroppo tale lo hanno considerato anche alcuni storici che hanno liberamente parlato della vita nello Zigeunerlager come di una condizione molto particolare e meno difficile che per la maggior parte degli altri prigionieri.
Una simile presentazione dei fatti risulta, però, offensiva e denigrante di fronte alla loro sorte.

Come ha ricordato Ulrich Konig, lo Zigeunerlager non corrispondeva ad alcun progetto umanitario.
Lo mostra persino il libro mastro del campo di Birkenau che ci restituisce l'altissimo livello di mortalità dello Zigeunerlager dove, dei circa 300 bambini nati nel periodo della sua esistenza, nessuno sopravvisse.

Le condizioni dello Zigeunerlager erano spaventose e i prigionieri rom erano come tutti gli altri prigionieri di Auschwitz.
Nella primavera del 1943 il numero dei rom a Birkenau era di 16.000: le baracche erano sovraffollate ed in un blocco da 300 persone ce n'erano 1.000.

Hermann Langbein ricorda quando, come medico dell'infermeria, si trovò nel campo degli zingari:

«Su un pagliericcio giacciono sei bambini che hanno pochi giorni di vita. Che aspetto hanno!
Le membra sono secche e il ventre è gonfio. Nelle brande lì accanto sono le madri, occhi esausti e ardenti di febbre.
Una canta piano una ninna-nanna.
A quella va meglio che a tutte, ha perso la ragione, mi dicono...Al muro è annessa una baracchetta di legno...È la stanza dei cadaveri.
Ne ho già visti molti nel campo. Ma qui mi ritraggo spaventato.
Una montagna di corpi alta più di due metri. Quasi tutti bambini.
In cima scorazzano i topi».

Un capitolo impressionante della storia dei Rom e dei Sinti nei lager è quello degli esperimenti medici, nei quali, probabilmente in quanto considerati «ariani decaduti», erano utilizzati come cavie.
E dai quali raramente uscivano vivi.

Lo stesso dottor Mengele,
l'SS-Hauptsturmführer soprannominato angelo della morte di Auschwitz, installò il suo laboratorio proprio accanto al settore zingaro e compì atroci esperimenti sul nanismo, sulla bicromia oculare e sulle malattie che si diffondevano nel campo, in particolare il Noma, una specie di tumore della pelle causato dalla denutrizione e particolarmente diffuso tra i bambini zingari prigionieri.

Una delle sue cavie fu Barbara Richter, che ci ha lasciato una intensa testimonianza:
«Il dottor Mengele mi ha presa per fare esperimenti.
Per tre volte mi hanno preso il sangue per i soldati.
Allora ricevevo un poco di latte e un pezzetto di pane con il salame. Poi il dottor Mengele mi ha iniettato la malaria.
Per otto settimane sono stata tra la vita e la morte, perché mi è venuta anche un'infezione alla faccia...».

Gli esperimenti sui piccoli, erano abituali per Mengele che nutriva una vera e propria ossessione per i bambini e per i gemelli rom e sinti in particolare.
In alcuni casi le detenute si illusero anche di salvare i propri figli presentandoli al dottore come gemelli, magari semplicemente perché della medesima altezza. Ma il loro destino non fu diverso da quello del resto degli internati:

«Ricordo in particolare una coppia di gemelli: Guido e Nina, di circa quattro anni.
Un giorno Mengele li portò via con sé. Quando ritornarono erano in uno stato terribile. Erano stati cuciti insieme, schiena contro schiena, come i siamesi.
Le loro ferite erano infette e ne colava il pus. Piansero giorno e notte. Poi, i loro genitori, ricordo che il nome della madre era Stella, riuscirono a trovare un po' di morfina ed uccisero i loro bambini, per placarne le sofferenze».

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