13. "Il gesto proibito"

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Bianca's Pov

"Vuoi anche dello zucchero o lo preferisci amaro?" Mi chiede. É di spalle, non vedo il suo volto, ma mi basta poco per capire che è imbarazzato, come d'altronde lo sono anch'io.

"Uhm, si, grazie" Continuo a giocherellare con il mio elastico al braccio sinistro così da impedirmi di torturarmi i polsi come una stupida.

Lui si volta, con in mano le due tazze di caffè fumante. Si siede davanti a me, e fissa la tazza.

"Ti ringrazio" Gli rivolgo un sorriso che, d'altronde, non viene ricambiato. Decido così di prendere in mano la tazza bianca con delle sfumature azzurre e alcuni rifinimenti in oro e portarla alle labbra.

"É molto carina casa tua!" Mi complimento. Lui alza lo sguardo e si guarda un po' in giro, come se fosse la prima volta che la vedesse.

"Oh, si. I miei genitori hanno preferito rimanere sul moderno, anche se in Grecia avevamo una casa antica." Assaggia il liquido scuro all'interno della tazza.

"E a te non piace, deduco" Lo fisso.

"Diciamo che preferivo la mia vita in Grecia" MI confessa. Il silenzio si fa padrone della casa e solo un leggero tintinnio dell'orologio, alleggerisce l'aria pesante.

"Se non sono indiscreta, perché la preferivi?" Azzardo. Lui continua a fissarmi per poi avvicinare il busto al tavolo.

"Sai, Bianca" Inizia a dire.

"Come ti sentiresti se, all'improvviso, sei costretta a lasciare tutta la tua famiglia, gli amici, i sogni, i ricordi d'infanzia, nel Michigan e trasferirti altrove?" Quasi sussurra, un po' come se mi volesse far provare paura.

Lo fisso per un tempo a me infecifrabile, quando lui, quasi di scatto, solleva l'angolo destro delle labbra e apre le braccia.

"Come pensavo" Ed ecco che un'aria da vincitore appare sul suo volto. Decido di non dargliela vinta e, di getto, parlo.

"Mi sentirei meglio, sai? Io, almeno." Tentenno sulle ultime parole e lui, visibilmente sorpreso, mi sussurra una semplice domanda.

"Perché?" Perndo un grosso sospiro e mi alzo. Lui fa finta di nulla e con la coda dell'occhio lo osservo mentre mi fissa. Beh, d'altronde mi sono alzata senza un motivo preciso quando lui si aspettava una risposta chiara, semplice e concisa.

"Sei tu?" Chiedo indicando con la testa I quadretti neri lucidi al di sopra del mobile marrone.

"Già. Qui eravamo a Londra. Il mio primo viaggio con i miei e le mie sorelle. Avevo all'incirca dieci anni, se non di più" Mi spiega affiancandomi.

"Però!" Esclamo dal nulla. Lui si volta verso di me, con un'aria interrogativa che campeggia sulla sua faccia.

"Senza questo" Indico il suo tatuaggio sul collo.

"Non ti ci riesco a vedere" Sorrido, ritornando con lo sguardo ai quadri.

"Beh, se te lo facessi vedere, ti stupiresti" Mi tenta. Mi volto con il capo verso la sua faccia e lui rimane lì, con un'aria impassibile sul volto.

"M-mostramelo" Balbetto. Mi schiarisco la voce cercando di essere forte, almeno con la voce.

"Ne sei proprio sicura?" Lui si avvicina con le mani nelle tasche dei jeans. Siamo a pochi cm di distanza ed io, decisa, annuisco.

Vedo che lui si sta trattenendo, lo percepisco dalle sue mani che in un primo momento si muovono, e l'altro ancora si fermano di nuovo.

"Ares, mostramelo." Stavolta il mio tono di voce è deciso. Lui serra la mascella, afferra i lembi della sua maglia blu e se la sfila, rimanendo a petto nudo di fronte a me.

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