35. Vivere o morire

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Quando si svegliò, Elena fu travolta da un profumo inconfondibile: tulipani. Aprì gli occhi e li vide lì, accanto a lei, colorati e vivi.

-Toc, toc-, bisbigliò una voce femminile, accompagnandosi con il rumore delle nocche sulla porta.

Elena strinse gli occhi per vedere meglio. Quella chioma rossa sarebbe stata inconfondibile persino a chilometri di distanza.
-Rosa!-, esclamò sorridendo.

La donna ammiccò ed entrò nella stanza con la sua andatura sgraziata.
-Ben svegliata tesoro, ti stai riprendendo alla grande!-

Elena sorrise ed alzò lo schienale del letto per tirarsi su.

-Ti ho portato una cosa-.

Rosa mise la mano nel cassetto di un mobile li vicino e, dopo aver frugato un po', ne estrasse una piccola scatola, che porse ad Elena lasciandosi tradire da uno sguardo soddisfatto.

Elena afferrò il barattolo trasparente e vi guardò all'interno. Il proiettile che le era stato estratto dalla gamba era lì dentro, ammaccato e schiacciato.

-Piccolo bastardo-, sghignazzò la ragazza, felice che l'intervento fosse andato bene.

Rosa riprese il barattolo, fece un paio di controlli sul monitor e si congedò. Subito dopo, entrarono Monica e Tommaso.

I genitori della ragazza le si gettarono addosso, ricoprendola di baci ed abbracci. La madre, seppur non volesse darlo a vedere, piangeva di gioia. Tommaso invece non faceva che ripetere quanto fossero stati in pensiero e quanto fossero fieri di lei per quello che aveva fatto.

I due rimasero con la figlia per un'oretta e quasi a stento riuscirono ad uscire dalla stanza. Elena sapeva che ci sarebbe voluto del tempo prima che passasse loro la paura che avevano vissuto in quel mese, senza la loro bambina.

Rosa passò altre tre o quattro volte a monitorare la frequenza cardiaca di Elena, intrattenendola con chiacchiere e pettegolezzi sulle relazioni amorose tra i medici di quell'ospedale. La faceva ridere.

Prima che se ne andasse di nuovo, però, la ragazza assunse un espressione seria e la fermò.
-Rosa...-

-Si?-

-Giusti...l'ispettore, come sta?-

Rosa sorrise davanti agli occhi tristi di quella ragazza che sembrava un agnellino impaurito. Le si avvicinò e le accarezzò i capelli.

-Sta bene. Se l'è vista brutta, aveva perso molto sangue, ma è decisamente fuori pericolo-.

Rosa tornò di nuovo sui suoi passi, ma fu ancora una volta fermata sull'uscio.

-Rosa...-

-Che c'è?-.

Elena esitò.
-Il ragazzo...è vivo?-

Rosa contrasse la mandibola.
-Il signor Zenia è ancora sotto i ferri. Il proiettile ha sfiorato il cuore, ma non l'ha lacerato. Ci vorrà ancora un po' per sapere come stanno le cose-.

Elena annuì, con lo sguardo rivolto verso il basso.
-Va bene, Rosa. Grazie-.

Elena passò il resto del pomeriggio in compagnia di Laura, che passò a trovarla. Le raccontò tutto, e l'amica le mostrò tutto il suo affetto. Quando se ne andò, Elena passò tutta la notte con gli occhi aperti e la mente invasa da tanti pensieri.

Zenia. Perché lo chiamavano tutti cosi? C'era qualcosa di cui non era al corrente. E poi...se fosse morto, cosa avrebbe provato lei? Si sarebbe sentita un'assassina? Sarebbe stata finalmente al sicuro, libera di vivere? Oppure Davide doveva sopravvivere, per marcire in carcere e soffire per ciò che aveva fatto a lei e a tutte le altre donne? Temeva che se il ragazzo ne fosse uscito vivo, lei avrebbe vissuto nella paura per il resto della sua vita.

Erano le due di notte quando il suo flusso di coscienza fu interrotto dal bussare sulla porta.

-Che succede?-

-So che non è orario di visite, ma posso fare uno strappo alla regola se tu sei d'accordo-, disse Rosa.

Elena non capiva a cosa si riferisse, ma acconsentì. Rosa se ne andò, lasciando il posto al visitatore.

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