18. È urgente

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La fortuna sembrava davvero non collaborare. Elena prese la quinta chiave e provò a girarla nella serratura. Niente da fare.

Il cellulare, intanto, squillava.

Elena non rispose subito e tentò con la sesta chiave, ma il rumore della suoneria sembrava particolarmente assordante.

Mentre inseriva la chiave, prese il telefono e rispose.

-Si...pronto?-

-Che stai facendo?-

Elena si bloccò immediatamente. Così presa da quella porta, che sembrava voler rimare chiusa, non aveva guardato il display del cellulare. Quella voce metallica...

-Ti hanno mangiato la lingua? Rispondi, che stai facendo?-.

-Perché non me lo dici tu? Sai sempre tutto, o sbaglio?-

Elena udì la risata dello sconosciuto.
-Touchè-

Lasciò le chiavi su un tavolino lì accanto e si allontanò dalla porta.

-Elena, rispondi-.

-Io...-

Ripensando a ciò che effettivamente stava facendo, provò vergogna. Dove aveva il cervello? Sembrava una di quelle fidanzate pazze ossessionate dal proprio ragazzo.

-Non ti vergognare, tesoro-.

Elena sobbalzò. Leggeva anche nella mente?

-Non mi vergogno-, balbettò.

-Sei poco convincente-.

-A che pro questa telefonata? Arriva al dunque-, rispose seccata.

-Ho bisogno che tu faccia una cosa per me-.

-Io non farò proprio un bel niente per te-.

Elena chiuse la chiamata, senza lasciare allo sconosciuto la possibilità di dirle a cosa si riferisse.

Mi sono stancata, pensò tra sé e sé.

Dopo aver riposto il mazzo di chiavi sul gancio, prese la borsa ed uscì dall'appartamento.

Da un lato era contenta di quella telefonata. Ripensandoci, si sarebbe sentita in colpa dopo aver invaso il territorio di Davide.

Decise di tornare a casa per dormire. Era tardi, e voleva rilassare la mente. Le venne quasi da ridere al pensiero di quanto, ormai, la sua vita fosse condizionata da lui. Una risata isterica fu quello che le uscì dalla bocca.

Elena era seduta in macchina, nel parcheggio di fronte al suo palazzo.

Qual era il momento in cui tutto aveva iniziato a deteriorarsi? Le sue sicurezze, le sue emozioni... Certo, non era mai stata una ragazza totalmente serena. C'era sempre qualcosa a preoccuparla, ma qualunque cosa fosse non le aveva mai fatto temere per la sua sicurezza.

Quell'uomo, invece, la stava pian piano privando dell'unica cosa che non aveva mai perso: la certezza di essere al sicuro.

L'essersi ricongiunta con la propria madre, l'avere degli amici accanto, l'essersi fidanzata... Elena aveva ingenuamente sperato che tutto questo le avrebbe fatto passare l'angoscia.

Aveva provato ad autoconvincersi che lui non avesse poi cosi tanto potere su di lei.

Si sbagliava.

Ciò che non poteva conoscere la terrorizzava. Chi era? Cosa voleva davvero da lei? Avrebbe continuato con le minacce, o avrebbe agito di persona? L'avrebbe uccisa? O era più uno scherzo di pessimo gusto?

Elena si chiedeva ogni giorno se quell'uomo sarebbe mai stato capace di fare del male fisico a lei o ai suoi cari. Nel frattempo, sembrava molto impegnato a stravolgerla psicologicamente.

Doversi guardare sempre le spalle iniziava a diventare un rituale insopportabile.

Elena sospirò, cercando di trattenere le lacrime che già avevano bagnato gli occhi, pronte a scendere a fiumi.

Salì nel suo appartamento e, come sempre, controllò tutte le stanze. Dopo aver chiuso porte e finestre, si mise supina sul letto con le mani poggiate sul ventre.

Gli occhi, fissi sul soffitto, erano più spenti del solito.

Forse era quello l'intento dello sconosciuto: toglierle la luce dagli occhi.

Senza rendersene conto, questi pensieri la accompagnarono fino al momento in cui si addormentò.

Diverse ore dopo, verso le nove del mattino, Elena si trovò sul pavimento.

-Ahi-, sussurrò massaggiandosi la nuca.

Il letto era un disastro, le lenzuola erano per terra e il cuscino si trovava sul lato del materasso.

Sembrava aver trascorso una notte agitata, nonostante il sonnifero preso per riposare meglio.

Il cellulare iniziò a squillare, ma Elena non rispose. Era in bagno a rinfrescarsi il viso e a coprire quelle occhiaie violacee che le circondavano lo sguardo sempre più stanco.

Il cellulare smise di suonare, ma il telefono di casa prese il suo posto.

Elena si trascinò fino al soggiorno.

-Si, chi parla?-

-Elena! Elena!-

Era Laura. La sua voce era spezzata, ansimante.

-Laura?-

-Elena!-

-Laura, calmati, dimmi cosa è successo-.

Elena voleva tranquillizzare l'amica, ma non riusciva a nascondere una certa agitazione. Non l'aveva mai sentita così turbata.

-Elena, devi venire in ospedale!-

La ragazza spalancò gli occhi.

-In ospedale? Che stai dicendo?-

-Corri!-

La telefonata si interruppe così. Elena rimase con lo sguardo fisso sul cordless, poi scosse la testa e andò in camera.

Non aveva tempo da perdere. Qualunque cosa fosse successa, sembrava urgente. Indossò il primo vestito che trovò su una sedia e uscì in fretta dall'appartamento.

Dopo un quarto d'ora arrivò in ospedale. Laura era nella hall. I capelli biondi erano legati in modo disordinato in uno chignon fatto in fretta e furia. Gli occhi azzurri erano piccoli, chiusi dalla stanchezza e pieni di angoscia.

La ragazza camminava avanti e indietro, mordendosi le unghie.

Lo fa solo quando è spaventata, si ricordò Elena.

-Laura!-, esclamò correndo verso di lei.

L'amica la abbracciò con forza, scoppiando in lacrime.

Elena, mentre la abbracciava, faceva scivolare la mano su e giù sulla sua schiena tentando di confortarla.

-Laura, per favore...dimmi perché siamo qui-.

-Gabriele...-, singhiozzò.

Elena sentì il cuore battere forte nel petto, quasi esplodere. Cosa stava succedendo?

Eyes On YouWhere stories live. Discover now