24. Identità

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La prima cosa che Elena avvertì fu il mal di testa lancinante.

Quando poi aprì gli occhi, si rese conto di non riuscire a vedere bene ciò che la circondava. La sua vista era annebbiata, i dettagli erano confusi.

Qualcosa le impediva di portare le mani verso la fronte, gesto che sperava avrebbe in qualche modo alleviato il dolore.

Provò più volte, ma le sue braccia erano come bloccate. Non riusciva a muoversi, così smise di tentare.

La vista migliorava, ma le immagini non erano ancora del tutto nitide. Iniziò a distinguere delle forme, ma non c'era luce e lo sforzo non faceva che peggiorare il male alla testa.

Dopo pochi minuti sembrati un'eternità, si sentì un cigolio seguito dallo sbattere di una porta. Il rumore non era troppo lontano, doveva provenire dall'ingresso principale.

Qualcuno era tornato a casa.

Elena, indecisa tra il parlare ed il tacere, optò per la seconda scelta. Anche perchè era abbastanza convinta che non sarebbe riuscita a muovere le labbra.

Si sentirono dei passi sempre più vicini. Subito dopo si udì un tonfo, come se la persona appena entrata avesse lanciato il cappotto per terra o sul divano, qualche colpetto di tosse e poi altri passi.

Questa volta il rumore si fermò a pochi centimetri da Elena, che cominciò a respirare affannosamente per l'agitazione.

-Oh, sei sveglia-, sussurrò la persona davanti a lei, accortasi del rumore proveniente dalla ragazza . Quella voce era flebile, quasi inudibile. Ma una cosa era certa: Elena aveva davanti a sé un uomo., ed era certa si trattasse dello stalker.

-Ti chiedo scusa per la voce. Sai, ieri notte ho preso un brutto raffreddore e mi sono svegliato con il mal di gola. Ma non ti preoccupare per me, tornerà chiara e forte come prima-.

Il tono era estremamente colloquiale, quasi come se stesse chiacchierando con un'amica incrociata per strada. Elena trovò la cosa ancora più inquietante.

-Ma che maleducato...lascia che ti tolga questi impicci-, aggiunse l'uomo, tossendo tra una parola ed un'altra.

Avvicinò le mani al corpo della ragazza, che però non sentì niente. Di quali impicci parlava?

-Probabilmente non ti eri nemmeno accorta di essere legata ed imbavagliata. Tranquilla, è solo l'effetto del narcotico. Passerà tra pochi minuti...Ti chiedo scusa, forse avrei potuto alleggerire la dose-.

Il rumore dei passi ricominciò e si fece leggermente più lontano.

La vista di Elena si faceva sempre più chiara, ed ora riusciva ad individuare la sagoma del ragazzo.

Era alto, con i capelli scuri. Purtroppo, era di spalle.

Lo osservò mentre, in tutta calma, accendeva il fuoco nel caminetto e si metteva a sedere sul divano che era lì di fronte, dandole sempre le spalle. Il ragazzo si mise a suo agio, stese le gambe e poggiò la testa e le braccia sullo schienale.

Intanto Elena approfittò della luce per guardarsi intorno. Si trovava in un salotto. La casa era arredata in modo rustico e non sembrava molto moderna. C'erano fotografie ovunque, ma erano troppo lontane per distinguerne i soggetti. Oltre al divano su cui era seduto il ragazzo, di un color verde petrolio, c'erano altre due poltrone abbinate. Per terra c'era un grande tappeto persiano, e davanti a lei Elena potè scorgere un tavolo in legno che poteva ospitare fino a sei persone.

Una delle sei sedie era occupata da lei. Guardò il suo corpo: le corde, ormai slegate, cadevano morbide sul suo grembo. Le braccia erano arrossate, la stretta doveva essere stata molto forte. Sulla corda c'era anche il foulard che le era stato messo sulla bocca.

Le caviglie erano però ancora legate alla sedia, così come i polsi, posti dietro lo schienale.

Elena si accorse che la sensibilità stava tornando quando riuscì a sfregare tra di loro i polsi, tentando invano di alleggerire la presa.

-Sai-, disse l'uomo dopo il lungo silenzio. Elena sussultò. -Questo posto mi rilassa sempre. Quando ho deciso di andare via non pensavo mi sarebbe mancato così tanto-.

-Vivevi qui?-, riuscì a dire Elena. Ormai era tornata in possesso della parola.

-Bene, l'effetto è svanito. Si, comunque. Un bel po' di tempo fa-.

La frase aveva un tono nostalgico, camuffato dal suono graffiato e grave della voce.

La ragazza non sapeva cosa fare, e provò a perdere tempo.

-Come mai te ne sei andato?-

-Beh, sai, si cresce e le necessità cambiano. E poi, avevo bisogno di allontanarmi da certi ricordi-.

-Quali ricordi?-

Il ragazzo si allungò verso il tavolino e afferrò una boccetta. Ne prese un sorso, poi la posò e afferrò un pacco di sigarette. Ne accese una e si rilassò nuovamente sul divano, emanando una grossa nuvola di fumo.

-Te ne ho parlato, una volta. Beh, più o meno. Forse non ti ricorderai, abbiamo parlato di molte cose io e te-.

-A tal proposito...non credi sia arrivato il momento di conoscerti? Siamo qui, per la prima volta nella stessa stanza. Girati, fammi vedere chi sei-.

Elena provò ad usare un tono sicuro e confortevole, ma la tradì il tremolio nella sua voce.

Il ragazzo continuò a fumare, ma staccò la schiena dal divano e poggiò i gomiti sulle sue ginocchia. Ad Elena sembrò quasi di sentirlo ridere sotto i baffi.

Dopo qualche istante spense la sigaretta, afferrò una bottiglia di vino poggiata su quel tavolino e prese due calici da un mobile a scorrimento sopra il caminetto.

-Abbiamo un po' di cose da dirci, tesoro. Lascia che nel mentre ti offra un po' di vino da accompagnamento per la cena-.

Elena non si era accorta che il tavolo di fronte a lei era apparecchiato per due.

Il ragazzo versò il vino rosso nei due bicchieri e, dopo aver posato la bottiglia, si girò.

Elena sentì il suo cuore saltare un battito. Si irrigidì, trattenne il fiato e spalancò gli occhi.

-...tu?!-

-Tieni. Cin Cin!-, le disse Davide, porgendole il calice.

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