16. Ricordo che mio padre...

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Elena entrò a passo molto lento all'interno dell'appartamento.

Percorse il corridoio e ispezionò la stanza in silenzio, solo con lo sguardo. Il soggiorno era molto ordinato, sui toni del bianco e del nero, dotato di un arredamento molto moderno. Non c'era nulla fuori posto.

La libreria bianca copriva quasi del tutto una delle quattro pareti, interrotta solo da una finestra che portava sul balcone.

Il salotto era collegato allo cucina, che fungeva anche da sala da pranzo.

Davide non commentò la curiosità della ragazza, che non si era accorta di star vagando in quella casa senza proferire parola.

Anche la cucina era impeccabile, con ogni elettrodomestico immaginabile.

Elena girò su se stessa e si diresse nell'altra zona dell'appartamento.

Si affacciò in un corridoio con quattro porte.

Passò davanti alle stanza sbirciando dall'esterno, in quanto le porte erano aperte.

La prima stanza era la camera di Davide. Un grande letto, una scrivania con un PC ultima generazione, un'altra libreria, un grosso armadio a parete e un tappeto circolare al centro.

La seconda stanza era invece un bagno, non molto grande.

La terza porta si affacciava su un'altra camera da letto, probabilmente la stanza degli ospiti. Era evidente che Davide non avesse un coinquilino, in caso contrario Elena ne avrebbe sentito parlare.

La quarta porta era invece chiusa. Elena abbassò la maniglia, ma la porta non si aprì.

-È una camera oscura. Per sviluppare le foto-, disse Davide.

Elena sobbalzò. Non sapeva perché, ma fino a quel momento, sebbene si trovasse in casa sua, si era dimenticata della presenza del ragazzo.

Sentì il volto andare a fuoco e si portò le mani davanti alla bocca.

-Davide, scusami! Non volevo essere ficcanaso...non sono una persona teoppo curiosa, davvero non so cosa mi sia preso!-

Davide sorrise e le mise una mano sulla spalla.

-Non ti preoccupare. Lo capisco, è la prima volta che vieni qui-.

I due si incamminarono nel corridoio per tornare nel soggiorno.

-E cosi, sei appassionato di fotografia?-, domandò Elena.

Il volto di Davide si illuminò.
-Si, da sempre. Quando ero piccolo, rubavo la macchina fotografica di mio padre e scattavo foto di nascosto. Purtroppo, non potevo svilupparle senza farmi scoprire...e cosi mi godevo semplicemente il momento dello scatto, della ricerca del giusto obbiettivo da inquadrare-.

-Potevi chiedere aiuto a tuo padre, per quanto riguarda l'uso della camera oscura-

-Oh, no. Mio padre, beh, teneva molto alle sue cose. Non voleva che venissero toccate. Una volta scoprì che, per giocare a "fare l'adulto", mi ero provato una delle sue cravatte. Mi colse sul fatto e...non fu contento-.

Elena guardò Davide con aria triste. Forse, suo padre non era stato un buon genitore. Forse, era per questo che lui non voleva che si riprendesse dopo l'incidente.

-Cosa fece?-

Davide non rispose.

Elena gli prese il volto tra le mani, costringendolo a guardarla negli occhi.
-Amore, puoi parlare con me. Io sono qui per te, puoi sfogarti-.

Davide esitò.
-Lui...lui entrò sbraitando. "Quante volte devo dirti di non toccare le mie cose?", mi urlò. Si avvicinò e mi tolse con forza la cravatta. Nel tentare di slegarla, non si accorse che la stava stringendo ancora di più. Mi sentii soffocare, ma...ma solo per poco eh! Subito dopo mi tolse la cravatta, mi disse di non farlo più e che, se mi avesse beccato di nuovo, mi avrebbe fatto vedere le stelle. Avevo dieci anni e mi spaventai a morte. Andai da mia madre piangendo, e lei mi abbracciò e mi rassicurò. Mio padre aveva avuto una brutta giornata a lavoro, ed era particolarmente stressato...aveva alzato un po' il gomito. Non era sempre cosi, non lo faceva spesso. Quella volta però mi spaventai, e decisi di non entrare mai più nella stanza dei miei genitori. Il giorno dopo, papà mi portò una stecca di cioccolato. Era il suo modo per fare pace...ma più crescevo, e meno questo trucchetto funzionava-.

Davide sembrava apatico, non mostrava alcuna tristezza nel raccontare quel brutto ricordo. Dalla poca emozione che emanava, sembrava quasi che non stesse nemmeno parlando della sua storia.

Elena lo abbracciò. Era convinta che ci fosse qualcosa di più,e che il ragazzo non se la sentisse di parlarne.

Ma di una cosa era convinta: Davide doveva affrontare la figura paterna. Quale momento migliore per sfogarsi, se non quando il padre era in coma e non poteva sentirlo?

-Davide-, sussurrò.
-So che dobbiamo parlare, ma penso che la nostra conversazione possa attendere. Dovremmo andare in ospedale-.

Davide alzò lo sguardo e lo rivolse verso la ragazza.
-Per fare?-

-Beh, tuo padre è privo di conoscenza...se tu gli dicessi quello che pensi ora, non potrebbe farti niente-.

Davide si lasciò sfuggire una risatina.
-No, Elena. Davvero, tranquilla. Non mi serve. Ho già detto a mio padre cosa penso di lui, e subito dopo mi sono allontanato-.

-Ma la cosa non ti fa stare male? Non ti dispiace, non vorresti cambiare la situazione?-

Davide si fece serio in volto.
-La situazione l'ho già cambiata. Non avevo più rapporti con mio padre, già prima dell'incidente. Ora come ora, che viva o muoia, poco m'importa-.

Elena fu sorpresa da quell'affermazione cosi spassionata.

-Quindi, è in realtà questo il motivo per cui mi hai detto di preferire la sua morte. Non centra nulla la sua sofferenza nella sua condizione-.

-Quella cosa la penso sul serio, El, ma in generale. Solo che, se lui morisse, non mi dispiacerebbe. E non perché saprei che è andato in un posto migliore, o che ha smesso di soffrire... Semplicemente, non proverei tristezza-.

Ci fu qualche minuto di silenzio, in cui i due rimasero sul divano senza guardarsi.

Elena era molto triste per Davide. Credeva che stesse solo cercando di rendere più marginale il suo dolore, scappando da esso fingendo una forza e un'indifferenza che non poteva provare sul serio.

-Come vuoi. In ogni caso, quando avrai voglia di parlare di qualsiasi cosa, io sono qui-.
Elena lo baciò dolcemente, e Davide ricambiò.

-Bene, furbetta, ora tocca a te parlare. Mi hai già distratto abbastanza. Allora, come mai sei scappata cosi?-

Elena voleva raccontargli dello stalker, ma si ricordò che quest'ultimo le aveva esplicitamente detto, anzi ordinato, di far rimanere tutto un segreto.

Siccome non voleva che accadesse qualcosa a Davide, decise di mentire. O, almeno, in parte.

Gli raccontò di aver ricevuto un messaggio dalla madre, dove le si diceva che il padre si era sentito male. Una volta arrivata a casa dei genitori, però, aveva scoperto che si trattava di una scusa d'emergenza adottata dai due per parlare con lei una volta per tutte. Descrisse la reale conversazione e come alla fine tutto si fosse concluso per il meglio.

-È per questo che sono scappata e non ti ho risposto al messaggio-, aggiunse.

Davide storse il naso. Non le credeva? Elena non riusciva a cogliere il significato della sua espressione.

Un caldo abbraccio la tranquillizzò.

-Sono felice per te-, sussurrò lui baciandole la fronte.

-Vieni con me, voglio farti vedere una cosa- disse poi Davide, alzandosi di scatto.

-Di che parli?-

-Shh. Lo scoprirai, tu seguimi-.

Davide aprì la porta d'ingresso, invitando Elena con lo sguardo ad uscire.

Lei rise, si alzò ed uscì dall'appartamento.

Davide chiuse la porta, nascose la chiave dentro il bordo della porta lì dove era leggermente sollevato e cinse Elena con un braccio.

Elena era emozionata.
Finalmente, qualcosa di positivo!

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