0. Youth of the Nation

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Celata tra sabbia e salsedine
il tuo profumo, ancora



Mi era mancata. Mi era mancata tanto da stare male, me rendevo conto solo in quel momento. L'avevo sempre data per scontata casa mia, la mia città. Quando ero tornata da lei, tre mesi prima, avevo gli occhi offuscati dalla paura, ma ora vedevo le sue forme come se fosse la prima volta.

Osservai le linee rette del porto, severe come scheletri, i colori dei container sbiaditi dal sole, le braccia ossute delle gru a torre. L'orizzonte era tinto di nuvole scure e dense di pioggia ed elettricità. Si avvicinava un temporale estivo.

Il vento tirava fresco, un sollievo per la mia pelle sudata e accaldata dalla temperatura di giugno. Increspava di bianco la superficie del mare. Alcuni turisti imprudenti sguazzavano tra le onde, poco lontani da riva, ignorando la bandiera arancione; gli erano ombrelloni chiusi e legati per evitare che volassero via a trafiggere qualche povero malcapitato.

Se avessero colpito me, in testa magari, li avrei pure ringraziati.

L'acqua del porto, invece, sembrava piatta, inerte e torbida come le mie emozioni.

Avevo chiuso a chiave tutto quello che provavo in una scatola immaginaria e l'avevo sotterrata da qualche parte dentro di me fino a non sentire più niente, perché tutto quello che sentivo faceva troppo male.

L'Istituto, gli esperimenti.

Il mio rapimento, le sue mani strette alla gola.

La morte dei miei amici.

Sentivo l'ombra costante della mietitrice sulle spalle, m'incurvava la schiena, mi schiacciava a terra. Gli artigli avvinghiati alla mia schiena, il suo canto a chiamarmi a sé, come una sirena.

Poi il rombo di un tuono spezzò la mia cupa catena di pensieri.

Il cielo era livido, furente. L'ultimo raggio di sole era stato divorato dalla coltre grigia: dovevo tornare al locale prima che si fosse messo a piovere.

Abbandonai la vista del litorale e m'inoltrai nel labirinto di carruggi per raggiungere il mio rifugio. Le viscere della città erano fatte di vicoli stretti, mura consumate da graffiti e puzza di urina. Lì dentro l'umidità era più densa e sentii la schiena bagnarsi di sudore, mentre camminavo in salita sui ciottoli.

Tenevo lo sguardo basso, le braccia intrecciate sul seno.

Non volevo essere riconosciuta, né importunata. Non sapevo quanto fossi ancora in pericolo, se i Damiani mi cercassero o se Greg fosse sulle mie tracce. Quando ero da sola, mi si accapponava sempre un po' la pelle all'idea di essere rapita di nuovo.

Pensare a lui mi scaturiva una di quelle emozioni che ricacciavo a forza in fondo allo stomaco. Ogni tanto mi chiedevo se stesse bene, se fosse ancora ossessionato dalla vendetta, se mi pensasse. Poi, scuotevo la testa con vigore per scacciare quelle dannate farfalle alla pancia e i brividi caldi del ricordo delle sue labbra, dei suoi ricci scuri o delle sue mani tatuate. Le sostituivo con il ricordo della sua stretta sul mio collo, o del sangue dei miei amici. E alla fine ricacciavo tutto nel buco nero al centro del mio petto.

Non volevo sentire più niente.

Né il male, né il bene, né la scarica di adrenalina che si liberava quando usavo i miei poteri.

Un basso ruggito anticipò le prime gocce di pioggia. Aumentai il passo, prima di inzupparmi, e, quando finalmente alzai lo sguardo, vidi l'insegna del MaiALetto. Il neon rosa era ancora spento, segno che il locale avrebbe aperto più tardi. Vista la tempesta, si sarebbero presentati pochi clienti o, almeno, lo speravo: non avevo voglia di parlare con nessuno quella sera.

APOKALYPSIS [Thanatos Trilogy Vol. 1&2]Opowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz