6. Sweet Dreams

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Non puoi nasconderti
sul fondo dell’abisso,

   


Il tavolo era azzurro, così come le sedie di plastica e le pareti. Su quest'ultime erano disegnati batuffoli bianchi simili a nuvole e linee nere che dovevano sembrare uccelli.

Il pavimento in linoleum rifletteva la luce del sole che entrava dalla finestra. Avrei voluto essere in giardino a costruire un forte con il fango e i legnetti, così che nessuno avrebbe più potuto portarmi nel laboratorio. Invece, mi toccava stare chiusa insieme agli altri a disegnare.

Avevo forse dieci anni e i capelli lisci mi arrivavano al sedere.

Il mio foglio non era più bianco, ma un arcobaleno di sfumature. Le venature ruvide dalla carta da disegno sporgevano come costole spezzate.

Ricreare quello che vedevo ogni volta che lasciavo il mio corpo mi faceva stare bene, come se potessi sentirlo ancora il calore amorevole della morte. Mi sentivo a casa in quel luogo, ero finalmente in pace.

Alcuni bambini, seduti intorno al tavolo vicino al mio, ridacchiarono. Li ignorai e calcai la mano sul pastello rosso che stringevo tra le dita.

Poi, qualcosa mi colpì la fronte. Una matita, seguita da altre risate.

Lanciai un'occhiataccia ai bambini e strinsi più forte il pastello a cera. Con la coda dell'occhio vidi una gomma da cancellare fluttuare verso di me. La schivai, ma la gomma deviò traiettoria e tornò alla carica. Uno dei bambini la stava pilotando con la mente. Cercai di afferrarla a mezz'aria, ma questa volteggiò sopra la mia testa, più in alto di quanto potessi raggiungere. Qualcun altro ridacchiò.

«Basta, bambini!» intimò la maestra di guardia dal fondo della stanza.

La gomma rimbalzò sulla mia testa e tutti scoppiarono a ridere.

Caddi a sedere sulla sedia azzurra e fissai il foglio colorato davanti a me. Il mio disegno era rovinato, un lungo tratto rotto lo tagliava a metà, lì dove mi avevano distratta. Mi bruciavano gli occhi per la vergogna e per la rabbia di essere stata presa in giro.

Strinsi i pungi così forte da sentire le unghie scavarmi nella carne. La furia era un buco nero che dallo stomaco mi stava mangiando viva. Era rossa, scura e brillante come sangue. Era potente, distruttiva. Non potevo più controllarla.

Ed esplose.

I pastelli saltarono in aria con uno schiocco. Le schegge si fiondarono sul gruppo di bambini che aveva smesso di scherzare. La maestra gridò e chiamò all'interfono un infermiere.

La rabbia era dentro di me e tutt'intorno, era incandescente.

Le sedie volarono a terra e alcuni bambini finirono contro al muro.

Il mio disegno prese fuoco.

«Dori.»

Era uno dei bambini nuovi, tra gli ultimi arrivati all'Istituto. Aveva i capelli ricci e scuri, e gli occhi color tempesta. Si avvicinò a me.

«No!» Ringhiai, facendomi scudo con l'aria satura d'ira intorno a me.

L'onda d'urto lo fece fermare, ma non indietreggiò. «Va tutto bene. Dammi la mano.»

Non andava tutto bene. Lui non lo conosceva il mio dolore, non lo sapeva cosa voleva dire morire così tante volte da non voler più vivere. Eppure, nei suoi occhi grigi come un temporale la vidi la sofferenza. Forse non era abituato a morire quanto me, ma era bravo a sopportare il dolore. Si era fatto uno scudo, come tutti noi. Aveva imparato a trovare quel punto d'insensibilità, nell'occhio del ciclone, dove puoi incassare un ultimo schiaffo senza scoppiare in lacrime.

Le sue dita si intrecciarono alle mie e la stanza iniziò a tremare.

«Va tutto bene.» La sua mano era calda, di un calore confortante e dolce. Sprofondai nei suoi occhi e all'improvviso sentii che tutto sarebbe andato bene. «Ti senti tranquilla. Ogni cosa brutta è andata via» sussurrò.

Era così. Ero calma, ogni pensiero orrendo era svanito, la rabbia si era placata e anche il terremoto.

«Va tutto bene.»

«Va tutto bene» ripetei.

Mi sorrise. Gli mancavano due denti davanti e credo si chiamasse Greggy. Potevo fidarmi di lui, potevamo essere amici.

Il mio disegno aveva smesso di bruciare, ma era rovinato per sempre. Al centro erano rimaste solo ceneri, i bordi erano carbonizzati.

La porta si spalancò ed entrarono due infermieri. L'infermiere uomo mi sollevò di peso, strappandomi dalla mano del bambino che sapeva controllare la mia mente, l'unico che sapeva calmarmi e farmi stare bene. Mi divincolai, strillai. L'angoscia mi colpì allo stomaco come un calcio, i suoi artigli mi si aggrapparono ai polmoni, mi spremettero il cuore, facendosi spazio nel mio petto, occupando di nera disperazione ogni mia cellula.

Poi la donna mi infilò una siringa nella spalla e non sentii più nulla.

Poi la donna mi infilò una siringa nella spalla e non sentii più nulla

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APOKALYPSIS [Thanatos Trilogy Vol. 1&2]Where stories live. Discover now