VI - iCanOnlySeeTheClouds [parte 2]

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Sam aveva mantenuto la sua promessa, organizzando per Freddie un colloquio con il responsabile informatico dell'azienda.

Erano circa le nove quando Freddie si presentò fuori dal portone, con la sua camicia migliore e tanto nervosismo. C'erano molti motivi che lo portavano ad essere così teso, dall'importanza che poteva avere quel lavoro, decisamente diverso da quello che aveva a Seattle, a ciò che significava per lui e per Sam.

Dall'esterno, l'edificio dava subito l'impressione di un ambiente all'avanguardia e a tratti addirittura futuristico. In alto, l'insegna era predominata da un blu elettrico e recava il nome dell'azienda a caratteri cubitali. Lo stabile, dalle pareti bianche e fresche di tinteggiatura, era sviluppato molto più in larghezza che in altezza. Presentava una sola fila di finestre sull'ala est, e aveva due entrate, una per gli uffici e l'altra per i laboratori.

Freddie varcò la soglia, stringendo ancora più forte il curriculum, e si ritrovò come catapultato in un'altra realtà. Gli piacque subito quel posto, dove il silenzio regnava sovrano tra i corridoi. C'era un diffuso senso di organizzazione e ordine in mezzo alle varie postazioni, gestite da facce concentrate sul proprio lavoro. Gli scappò da ridere, pensando a come facesse Sam a stare lì.

Si avvicinò alla scrivania della segretaria, una donna molto elegante sulla trentina. Quando lo vide, lo accolse con un sorriso di circostanza. Freddie deglutì per allentare il groppo alla gola. – Buongiorno, sono... -

- Freddie! – una voce fin troppo familiare lo colpì alle spalle.

Fu raggiunto dal demonio biondo, mentre il peso gli scendeva dalla gola fino allo stomaco. Quella mattina, una parte di sé aveva sperato di non incontrarla, ma si era trovata a scontrarsi con l'altra che invece pareva aver disperatamente bisogno di lei. E come spesso accadeva quando si trattava di Sam Puckett, non c'erano stati né vincitori né vinti. Freddie aveva l'impressione di essere l'unico ad aver perso.

Sam gli diede una sonora pacca sulla schiena, prima di rivolgersi, allegra ma decisa, alla segretaria. – Lui è qui per un colloquio. Puoi dire a Martin che Freddie Benson è arrivato? Secondo me lo sta aspettando. –

Mentre la donna componeva il numero di un interno, Sam si voltò verso di lui. – Secondo me ti sta aspettando. – ripeté. – Sei in ritardo, Benson. –

Freddie guardò stupito l'orologio. – No! Io... -

Sam non gli concesse nemmeno un secondo per ribattere. – Sai, Freddie, non ti presenti bene a un lavoro se non riesci a dire nemmeno chi sei e cosa ci fai qui. Ma l'hai mai fatto un colloquio? –

Il ragazzo aveva iniziato a sudare. – Sei tu che mi hai interrotto... -

- E tu sei sempre il solito. – lei lo afferrò per la spalla sorridendo. – Andiamo. –

Decise di accompagnarlo verso la sezione informatica, i cui uffici erano esattamente dalla parte opposta dello stabile. Nonostante il tempo che potevano condividere, Freddie non riusciva a dire una parola. Non sapeva se a turbarlo così tanto fosse l'idea del colloquio o la presenza di Sam. Anche se per poco, erano di nuovo loro due. Da soli, senza Beck, Cat e gli altri. Insieme, come lo erano stati un tempo.

Dopo due corridoi e una rampa di scale, Sam si accorse di quanto fosse taciturno Freddie. – So cosa stai pensando. –

Il giovane Benson fu preso dal panico. – Davvero? Come... -

- Ti stai chiedendo come abbia fatto una come me a trovare un lavoro qui. –

Non esattamente, pensò lui. Gli era appena passato per la mente, ma scelse comunque di lasciarglielo credere. – Esatto. -

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