Capitolo ventuno

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Quasi quasi vorrei essere al suo posto.

Punto gli occhi sui suoi e se fossi stato un altro tipo d'uomo, mi sarei incenerito immediatamente sul posto. Carmen mi lancia occhiate velenose e roventi, che dovrebbero avere su di me lo stesso effetto dei carboni ardenti. Purtroppo per lei non è così.

«Signora Zimmerat», la saluto formalmente.

Hannah, la cameriera, mi guarda sottecchi un passo dietro alla sua signora, ma io la ignoro deliberatamente. In questo momento sto combattendo una guerra di sguardi con gli occhi neri più profondi del mondo.

«Signor Laspek», ricambia Carmen incrociando le braccia al petto, «oggi non ho bisogno di lei, altrimenti l'avrei fatta chiamare».

Lo so. Sono io ad aver bisogno di te.

Sta per sfuggirmi dalle labbra, solo la presenza della cameriera mi frena appena. Mi sta chiaramente liquidando. Cosa posso dirle senza destare i sospetti di Hannah?

Nel frattempo, la donna in questione si sta attorcigliando una ciocca bionda dei capelli attorno all'indice, mentre mi lancia occhiatine maliziose.

La situazione è tragicomica, così ricambio le sue occhiate languide con uno sguardo di pietra, mentre serro le labbra. Spero le basti come avvertimento.

Carmen si acciglia e segue il mio sguardo, fino a voltarsi verso Hannah. Il modo in cui arriccia le labbra di fronte agli evidenti sguardi licenziosi della domestica mi da un piccolo vantaggio. Sta per dirle qualcosa, me lo sento.

«Hannah, ha finito qui?», domanda alla cameriera.

Quella si ridesta e posa gli occhi sulla sua padrona, contrita. «No, veramente no».

Carmen alza gli occhi al cielo e torna con gli occhi su di me. «Adesso che ci penso, dovrei proprio mostrarle qualcosa che ho notato in auto, signor Laspek. Penso sia difettosa».

Quasi mi viene da ridere per la scusa assurda, ma le do corda. «Mi faccia vedere».

Lei annuisce e mi precede, camminando sinuosamente davanti a me. Usciamo di casa in perfetto silenzio e lei va subito a sedersi in auto, chiudendo rumorosamente lo sportello dietro di sé. La imito, sedendomi al posto guida.

«Qui possiamo parlare, i finestrini oscurati e l'insonorizzazione ci proteggeranno da orecchie ed occhi indiscreti», mi spiega, appena chiudo lo sportello.

La macchina è rimasta al sole tutto il giorno e qui dentro fa caldo. Accendo l'aria condizionata e subito dopo mi volto verso di lei. I suoi occhi sembrano meno tempestosi, adesso che siamo soli. «Mi sono espresso male, prima», ammetto.

Lei abbassa gli occhi. Quando li alza, il suo sguardo si è ammorbidito. «Ed io sono stata troppo impulsiva».

«Che bella coppia», commento, sarcasticamente.

«Coppia?», fa lei, sorpresa.

Mi passo una mano tra i capelli. «Come dovremmo definirci, Carmen? Dimmelo tu».

Lei scuote il capo. «Siamo attratti l'uno dall'altra, no? È di questo che si tratta».

Sollevo un sopracciglio. «Solo attrazione?».

Sbuffa. «Alexander, mi rigiri la domanda? Non lo sappiamo nemmeno noi cosa siamo!».

«Dobbiamo saperlo per forza?», le domando, di getto.

Si morde un labbro, quando lo lascia andare, è rosso. «Non lo so. Ciò che so è che questa cosa tra di noi, qualunque cosa sia, non ci porterà da nessuna parte».

La mia salvezzaWo Geschichten leben. Entdecke jetzt