Capitolo Ventiquattro || Avresti dovuto capirlo

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Alice stava passeggiando avanti e indietro per i lunghi corridoi del palazzo della Regina Bianca, dove si trovava da ormai troppi giorni. Era stanca e vagamente annoiata. L'attesa la stava uccidendo. L'idea che Tarrant fosse là fuori, da solo, presumibilmente nello stesso luogo in cui soggiornava la Regina Rossa, l'inquietava non poco.

Se poi, a tutto ciò, si aggiungeva il fatto che Nate e la Regina Bianca sembravano spesso assorti in conversazioni tendenti ad escluderla, poteva dire di aver raggiunto il culmine della poca pazienza di cui disponeva.

Quei due parlavano fittamente e, non appena si accorgevano della sua presenza, le lanciavano delle strane occhiate, lasciandole intendere che fosse proprio lei la protagonista delle loro discussioni.

Sbuffò e si appoggiò al davanzale della finestra che dava sul chiostro interno del palazzo.

Era frustrata. Aveva bisogno di sapere come stesse Tarrant. ADESSO.

«Alice...»

Si voltò e si ritrovò di fronte la figura evanescente dello Stregatto. Sorrideva, ovviamente. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Da che ricordava, nemmeno nei momenti di maggiore sconforto quella creatura perdeva la sua faccia di bronzo.

Una zampa felina si allungò verso il suo viso, sfiorandola.

«Cara Alice. Sei in pena, non è così?»

Lei non rispose, limitandosi ad alzare il mento con fare arrogante. Non avrebbe mai ammesso ad alta voce ciò che le balenava per la testa né i sentimenti in cui si sentiva affogare. Sarebbe stato come confessare le proprie debolezze, mentre lui, quel Cappellaio da strapazzo, se n'era andato piantandola in asso senza pensarci troppo.

No, non avrebbe mai ammesso ad alta voce di essere preoccupata per Tarrant.

«Lo siamo tutti.» mormorò lo Stregatto, ignorando il suo silenzio.

Alice strinse i pugni. «Sono solo...Arrabbiata per non essere stata informata dei suoi piani. Tutto qui.»

Lo scintillante sorriso a mezzaluna dello Stregatto la irritò come non mai. Contenne a stento la rabbia accumulata che aveva in corpo e che ad ogni minimo cenno rischiava di esplodere.

«Ora lasciami sola. Non mi va di chiacchierare, meno che mai con te.» aggiunse in tono brusco.

Lungi dal farsi offendere o intimidire, lo Stregatto scomparve, battendo in ritirata. D'altronde non era mai stato particolarmente incline all'altruismo. Tuttavia, in quel momento ad Alice andava benissimo così.

***

Trascorse un altro giorno e poi un'altra notte.

Alle prime luci dell'alba, Alice fu riscvegliata da delle urla a dir poco agghiaccianti. Si sollevò dal suo confortevole giaciglio e si stropicciò gli occhi, cercando di ritrovare in fretta la lucidità.

Ben presto, si rese conto che quelle grida erano di gioia, ciononostante continuavano ad agitarla.

Solo un motivo poteva spingere i suoi amici di Sottomondo a strillare in quel modo...

Indossò rapidamente la lunga vestaglia che teneva appesa sulla testiera del letto e si lanciò fuori dalla propria camera. Fu in quel momento che sentì invocare il suo nome a gran voce:«Alice! Alice!»

Era la Regina Bianca. Chiaramente le stava andando incontro, perché sentiva la sua voce farsi sempre più vicina.

Scalza, con addosso la camicia da notte e la vestaglia, i capelli lasciati sciolti e selvaggi come piacevano a lei, Alice raggiunse la sovrana nella sala principale. Sembrava scossa, ma non amareggiata.

Buon viaggio a vederci - Ritorno a SottomondoWhere stories live. Discover now