Capitolo Quindici || Nella testa di Tarrant

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Tarrant non poteva credere che quella ragazzina non si fosse accorta di avere avuto a che fare con un suo sosia! Dov'era finita la tanto decantata - quantomeno da lei - amicizia? Un'amica avrebbe notato che non si trattava di lui, no? Una vera amica, almeno. Ma Alice no, non era affatto un'amica, non lo era mai stata. Perché nel suo cuore, Tarrant, l'aveva sempre considerata molto più di quello; aveva sempre visto molto di più della bambina finita a dipingere le rose della Regina Rossa. Era completamente fuori di testa e forse era proprio il motivo per cui lui aveva da subito avvertito una profonda affinità. Affinità che si era tradotta in un rapporto estremamente intimo, che Alice si ostinava a definire amicizia, ma che tale non poteva essere se poi nemmeno si accorgeva che qualcuno aveva assunto le sue sembianze per ingannarla.

Qualcuno, sì...Ma chi? Dannazione, erano settimane, addirittura mesi che Tarrant si arrovellava per scoprire a chi appartenesse l'identità di colui o colei che si era messo alla ricerca di Alice. I segnali erano chiari e si erano manifestati subito dopo la sua partenza da Sottomondo.

Già, la sua partenza...Tarrant le aveva chiesto di restare, ma lei no; era dovuta tornare a casa, nel suo mondo. Ben presto aveva scoperto il reale motivo. Aveva capito quali cose dovesse "sistemare" quell'irritante, cocciuta, folle, testarda e bellissima ragazza. La sua Alice.

Scosse la testa nel tentativo di riordinare le idee. Era talmente furioso da saltare di palo in frasca con i pensieri, con il risultato che gli stava venendo un tremendo mal di testa. Gli effetti collaterali dell'aver a che fare con Alice. O forse proprio dell'impuntarsi per non averci a che fare.

«Stai bene, Tarrant?» abbaiò Bayard, al suo fianco. Lui annuì meccanicamente, ma non proferì parola.

«Dopo l'agguato che hai subito, sarebbe normale se fossi un po' frastornato...»

Il Cappellaio sollevò impercettibilmente gli angoli della bocca. «Dimentichi, amico mio, che l'essere frastornato costituisce la mia condizione abituale.» replicò in tono vagamente divertito. Persino sul volto canino di Bayard comparve un sorriso. «Giusto.»

Seguì un istante di silenzio, che però venne rotto ancora dal mastino. «Non ho potuto fare a meno di notare che fra te e Alice non corre buon sangue.»

«Sagace come sempre eh, mio buon Bayard?»

«A dir la verità non bisogna essere un genio per notarlo...L'hai trattata molto male dal primo momento in cui l'hai affrontata, sulla spiaggia.»

Tarrant corrugò la fronte e strinse le labbra in preda all'ira. Non ce l'aveva con Bayard, ma con Alice. Ce l'aveva sempre con Alice.

«Non doveva tornare, ecco tutto.» replicò freddamente.

«Perché?»

Anziché rispondere, il Cappellaio prese a fischiettare rumorosamente, suscitando il fastidio del mastino, che ringhiò.

«Come sta la tua deliziosa compagna?» gli domandò allora.

«Perché sei in collera con Alice?» insistette Bayard.

«E i cuccioli? Immagino che siano cresciuti parecchio dall'ultima volta che li ho visti.»

«Smettila di tergiversare, Tarrant!»

Gli occhi del Cappellaio si accesero di una luce sinistra che li rese, se possibile, ancora più grandi e brillanti. Inquietavano a dir poco, ma, al tempo stesso, erano incantevoli, addirittura magnetici.

«E tu smettila di fare domande alle quali non intendo rispondere!»

Si guardarono in cagnesco e non solo perché Bayard era effettivamente un cane. Gli occhi bicromatici di Tarrant emettevano saette, tant'è che il buon mastino dovette abbassare lo sguardo con fare remissivo.

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