I - 10.12

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Los Angeles, 10 Dicembre, ore 01:25


Una stella piangeva dal cielo, poteva sentirla.

Seduto sullo scalino del portico, Freddie osservava distratto la pioggia cadere impetuosamente alla luce di un lampione. La grondaia lo riparava dall'acqua, e lui si lasciava cullare dal martellare delle gocce sull'asfalto e dal ruggito di qualche auto. I brividi che provava non erano dati solo dal freddo.

Non sarebbe riuscito a prendere sonno, si era rassegnato. Almeno, non dopo ciò che lei gli aveva rivelato quel giorno.

E adesso, immerso nella quiete di una notte tra tante, non poteva fare a meno di ripensarci.

Anche la sera in cui era arrivato pioveva. Un ironico segno di benvenuto, mentre l'aereo atterrava e lui si univa al flusso di passeggeri, prima ordinati allo sbarco, subito dopo pronti a separarsi ognuno per la propria strada.

Si era ritrovato subito solo. Solo, esattamente com'era stato negli ultimi anni.

In passato era andata bene così, perché per quanto fosse stato da deboli, lasciare tutto com'era gli aveva permesso di rimanere al sicuro da tutto quello che temeva.

Ripresentarsi lì invece aveva significato fare un passo indietro, ritrattare una decisione all'epoca dolorosa e sofferta.

Allora si era fidato di se stesso, si era convinto di aver fatto bene. Questa volta no.

Ormai faticava persino a ricordare perché si trovasse a Los Angeles. Si stava chiedendo se volare fino a lì fosse stata la scelta giusta, se potesse ancora trovare un posto da chiamare "casa", se avesse davvero senso ripartire da quella città dopo averla evitata per tanto tempo.

In verità non si sentiva più sicuro di niente, e forse nemmeno sapeva cosa potesse sperare. I suoi sogni e le sue aspirazioni erano rimasti indietro, non lo avevano seguito, oggi come quattro anni prima.

Com'era la battuta di quel famoso film?

"Non può piovere per sempre", diceva un eroe.

Vero, così com'è vero che nel cuore di alcune persone, certi temporali non si placano mai.

E lui, dell'eroe, non aveva un bel niente.

*****

In un appartamento lontano appena un paio di isolati, Beck Oliver stava riposando serenamente al termine di una giornata di lavoro. La serranda abbassata aveva fatto precipitare la camera nell'oscurità, e dalla finestra soltanto filtravano soltanto pochi fasci di luce, a disegnare strisce argentate sul pavimento.

A un tratto un fastidioso e insistente rumore strappò il ragazzo dal mondo onirico. Beck si rigirò nervosamente nel letto, cercando di mettere a fuoco cosa fosse.

Si voltò verso il comodino e intravide un intenso bagliore proiettato sul soffitto, accompagnato dal ronzio della vibrazione. E mentre allungava pigramente la mano per afferrare lo smartphone, si maledisse per non averlo spento e lasciato in cucina.

Con gli occhi ancora socchiusi se lo portò all'orecchio. – Pronto? –

La sua voce era ancora impastata, quella dall'altro capo invece sembrava bella vispa. - Beck? –

Il canadese mugugnò qualcosa.

- Scusa se ti disturbo a quest'ora, è solo che... -

- Ma chi sei? – lo interruppe bruscamente.

L'altro esitò un secondo. – Sono Freddie. –

- Freddie? - ripeté confuso – Che succede? –

Diamond Dreaming EyesWhere stories live. Discover now