Capitolo 34.

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Nadia spalancò gli occhi e si pigiò le mani sulla bocca per soffocare un gemito, quando sentì quel rumore poco rincuorante. Si appiattì immediatamente alla parete dello scaffale e lasciò scivolare a terra uno dei fogli che fino a quel momento stava esaminando. Qualcuno era entrato nel magazzino chissà per quale motivo, e per un attimo ebbe paura: si trattava comunque di un luogo isolato, e da lì nessuno avrebbe potuto sentirla. Le passarono per la testa le peggiori ipotesi, che incrementarono le sue paranoie: doveva restare nascosta e sperare che la persona misteriosa non la notasse. Nel dubbio, afferrò un fermacarte appollaiato sulla mensola da chissà quanti anni.

«Merda!» sbraitò a gran voce l'inquilino della stanza, sbattendo entrambe le man sulla porta.

Il gesto fece sussultare Nadia, che, per lo spavento, si lasciò scivolare dalle mani l'oggetto designato alla sua difesa personale. Il fermacarte tonfò a terra.

«C'è qualcuno?» L'ombra si voltò di scatto verso gli scaffali dove si era nascosta e si allontanò dalla porta, addentrandosi nella stanzetta.

Nadia spalancò gli occhi, quando riconobbe quella voce. «Mattia?» sussurrò, portandosi le mani alla bocca. Possibile che se lo fosse solo immaginato? Magari la paura tirava quel tipo di scherzi, stravolgendo la realtà in una distorta fantasia surreale. Ed effettivamente, l'effetto della polvere mista all'aria stantia del magazzino buio stava iniziando a portarle i primi accenni di conseguenze a livello fisico: aveva il fiato corto e il volto accaldato, mentre cercava di annaspare le prime boccate ansanti di aria. Sentiva la bocca secca e uno strano groppo in gola.

«Ehi, tu, Einstein», l'additò ancora una volta Mattia, avvicinandosi allo scaffale. «Guarda che vedo la tua ombra. E ti sento respirare. Esci fuori di lì.»

Nadia sospirò e oltrepassò una pila di fogli gettati a terra, fino a fare capolino con la testa dal fianco dello scaffale. Anche se l'ambiente era particolarmente buio, riconoscerlo non fu difficile. Era davvero Mattia, in un completo scuro ed elegante senza giacca.

«Nadia?» domandò, con tono di voce stupito. «Che ci fai tu qui?»

Nadia rimase nella penombra dello scaffale. «Potrei domandarti la stessa cosa.»

Mattia la raggiunse nel suo angolo sicuro e la squadrò dall'alto in basso. «Anita mi ha mandato a cercare una prolunga. Qualche idiota ci è inciampato sopra e l'ha messa fuori uso, facendo saltare l'impianto musicale. Adesso tocca a te.»

«Devo cercare dei volantini per il professor Castrucci. Mi ha detto che si trovavano qui dentro, in uno scatolone, ma non è così facile... Non si vede un accidente di niente, e inizio a sentirmi la gola stretta... Voglio uscire. E subito», sillabò, respirando affannata.

Mattia le lanciò uno sguardo nervoso, poi fissò la porta, portandosi una mano sul mento. «Credo che prima abbiamo un problema da risolvere.»

Nadia rimase in silenzio, ma dentro di sé sapeva già dove volesse andare a parare. Anche se lo stava sublimando, era consapevole di aver sentito un rumore scoraggiante.

«Quando ho chiuso la porta la maniglia si è staccata... Temo che siamo bloccati qui.»

Nadia sentì le forze venirle meno, mentre si passava convulsivamente una mano tra i capelli. «No, no, no. Dobbiamo fare qualcosa. Qualsiasi cosa! Non possiamo restare chiusi dentro un maledetto magazzino!» Alzò la voce e iniziò a camminare su e giù per la stanza. Raggiunse la porta fuori uso e raccolse dal pavimento la maniglia arrugginita. Provò a reinserirla nel foro d'ingresso, ma senza alcun risultato soddisfacente. «Cazzo!» Con una mossa dettata dalla rabbia, piegò il gomito per caricare un colpo, indirizzato a scagliare quanto più lontano da lei quell'inutile ferraglia. Ma Mattia glielo impedì, raggiungendola in silenzio alle spalle e sfilandole dalla mano l'oggetto, per poi lanciarlo in mezzo agli scatoloni e le risme di fogli.

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