Capitolo 13.

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«Ho adorato le lezioni dal primo all'ultimo minuto!» esclamò Nadia a Leonardo, su di giri. Era appena uscita dall'aula in cui si era tenuta l'ultima lezione della giornata, ed era completamente entusiasta. Le era piaciuta qualsiasi cosa: dalle aule, ai professori; dalla compostezza dei compagni, agli argomenti delle lezioni. Era tutto così magnificamente pianificato e professionale.

Leonardo rise al suo fianco. «Lo dici soltanto perché è il tuo primo giorno.»

«No, affatto! Sono anni che cerco un posto simile! Ma fino a qualche mese fa avevo trovato soltanto un liceo di provincia e un istituto privato di spocchiosi. Qui è tutto come avevo sognato», spiegò, gesticolando con allegria. «Le persone sono cortesi e sanno farsi gli affari propri, e i professori sono ligi al dovere. Ho trovato il mio Eden.»

«Sono contento che il primo giorno ti abbia fatto questa impressione», sorrise lui, mentre accompagnava la ragazza fuori dall'aula.

«Studiare qui era il mio sogno. E pensare che per un attimo avevo anche pensato di rifiutare la borsa di studio...» rispose, scuotendo la testa. «Per fortuna ho capito che certi treni passano una volta sola. Sarei stata una sciocca a lasciarlo scappare, no?»

Leonardo la fissò con un sorriso e annuì, perso dietro ai suoi occhioni verdi e luminosi. «Già, davvero da sciocchi...»

«C'è qualcosa che non va?» Nadia socchiuse le palpebre e scrutò il ragazzo con attenzione. Teneva lo sguardo addosso a lei da quasi un minuto, e sembrava avere completamente la testa tra le nuvole. Per svegliarlo ondeggiò la mano di fronte al suo volto.

Leonardo rinsavì dallo stato di trance e scosse la testa, mentre le sue guance divennero rosse come peperoni. «No, scusa. Ero sovrappensiero.»

A Nadia scappò un sorriso di tenerezza. Quel ragazzo assomigliava molto alla parte di lei che aveva lasciato andare un po' di tempo prima. Quella timida e vulnerabile. Per questo motivo gli era simpatico. Vedeva in lui una dolcezza e una spontaneità pura, invidiabile da qualsiasi altra persona di sua conoscenza. E di persone così ci si poteva fidare. Lo sentiva a pelle. Leonardo sarebbe stato un ottimo amico.

«Stavo pensando...» disse lui, rompendo per primo il ghiaccio. «Ti andrebbe di pranzare insieme in mensa? Però dobbiamo muoverci, o troveremo tutti i tavoli occupati. Il lunedì c'è il menù con la pizza, quindi ci sarà molta fila.»

Nadia annuì e seguì l'amico lungo il corridoio che portava all'esterno dell'edificio.

Fuori la temperatura era gradevole, e molti studenti erano sdraiati a terra o seduti all'ombra di qualche albero. Loro invece continuarono la marcia a passo svelto verso la struttura con le pareti in vetro, distaccata dalle altre.

Una volta entrata, Nadia non poté fare a meno di sentire il forte odore di pietanze nell'aria: riusciva a riconoscere l'aroma del ragù di carne misto a quello dei tranci di pizza appena sfornati. Socchiuse gli occhi e inspirò a pieni polmoni. Se il profumo rispecchiava il gusto, mangiare in mensa non sarebbe stato affatto un problema. Si mise quindi ad adocchiare un tavolo libero nella stanza, ma con scarsi risultati. Le sedie erano quasi tutte già occupate, e la fila al self-service raggiungeva la porta d'uscita.

«Come volevasi dimostrare...», brontolò Leonardo, grattandosi la testa. «Fortuna che sfornano cibo in continuazione.»

Nadia mise le braccia sullo stomaco per mascherare il brontolio. Non poteva aspettare tutto quel tempo per pranzare. Sarebbe svenuta prima. Guardò il compagno e lo spinse in fila. «Ascoltami, tu prendi da mangiare mentre io cerco un tavolo libero.»

Leonardo afferrò due vassoi vuoti e annuì. «La pizza ti va bene?»

«Mangerei anche il vassoio in questo momento.»

«Vada per qualcosa di ipercalorico, allora. Fammi un cenno se non riesco a trovarti tra i tavoli.»

Nadia tirò su il pollice e si avviò con decisione verso l'area di ristoro. Sarebbe stata una bella ricerca. Le persone sedute ai tavoli erano tutte intente a mangiare in compagnia, e nessuna di loro sembrava in procinto di alzarsi. Attese qualche minuto in piedi, vigile come una guardiana notturna, ma la situazione non cambiò di una virgola. Allora spostò lo sguardo sulla fila e vide Leonardo avanzare verso i banconi delle pietanze sempre più velocemente. Sospirò e riprese a camminare, diretta verso il fondo della mensa.

Fu in quel momento che vide diversi tavoli completamente liberi, proprio all'angolo dalla stanza. Erano un po' nascosti da alcune piante da interno, ma nessuno comunque sembrava avvicinarcisi.

«Trovati», disse tra sé e sé, e si avvicinò rapidamente a uno dei tavoli. Doveva occupare il posto prima che qualcuno altro lo scoprisse prima di lei. Si mise quindi seduta con un'espressione soddisfatta, e incrociò le braccia al petto, in attesa che Leonardo uscisse dalla fila con il loro pranzo.

Dopo qualche minuto, Nadia vide la chioma biondina del ragazzo farsi strada con due vassoi in mano e guardarsi attorno attentamente. Scattò in piedi e ondeggiò il braccio, sperando che la notasse.

Nell'area più frequentata della mensa, nel frattempo, le persone ancora girovagavano in cerca di un posto libero. Nadia li fissò allibita. Ma non vedevano che in fondo alla stanza c'erano almeno cinque tavoli vuoti e puliti?

Quando Leonardo riuscì finalmente a incrociare lo sguardo della ragazza impallidì. Strizzò gli occhi da dietro gli occhiali, per assicurarsi che quella fosse davvero Nadia, poi deglutì nervosamente. Rimase per un attimo immobile sul posto, con i vassoi ancora in mano.

«Ehi, sono qua!» Nadia continuò a muovere il braccio avanti e indietro, anche se era sicura che l'amico l'avesse vista. Diamine, c'era solo lei in quella zona. Gli occhiali lo giustificavano in parte, ma quello voleva dire essere ciechi come talpe.

Leonardo si guardò intorno impacciato e si avviò con rapidità verso la ragazza. Ormai le altre persone avevano iniziato a fissarla. Quando la raggiunse la guardò con occhi terrorizzati e rimase con il pranzo in mano. «Non possiamo stare qui», esclamò a bassa voce, con tono grave.

«Perché no?», rispose lei, con una scrollata di spalle.

«C'è un motivo se non ci si siede nessuno qui. Alzati, su. Andiamo a cercare un altro posto.»

«Ma stai scherzando?»

Lo sguardo di Leonardo si fece ancora più impaziente e preoccupato. «Nadia, andiamo. Troveremo un altro tavolo.»

Nadia aggrottò le sopracciglia ma non si alzò. Quella situazione era assurda. «Non capisco perché non possiamo sederci qui. Non siamo anche noi studenti del campus? Non ho visto nessun divieto d'accesso a questa zona.»

«Sì, ma... è diverso, d'accordo? Troviamo un altro posto, poi ti spiego», borbottò lui. «Non dovevo lasciarti andare da sola. Ti mancano ancora le basi.»

«Le basi? Ma di cosa parli? Dobbiamo solo pranzare, non colonizzare aree come se stessimo giocando a Risiko!» sbottò Nadia, adesso più infastidita. L'atteggiamento di Leonardo era inspiegabile, e l'aumentare della fame la rendeva sempre più irascibile.

«Ti prego, dammi retta. Non complicarti la vita. Sei appena arrivata», riprovò Leonardo. Teneva ancora in mano i vassoi con la pizza, ormai diventata un pezzo di plastica fredda.

«Non mi alzo fin a quando non saprai darmi delle spiegazioni più sensate di quelle che hai usato finora.»

Leonardo sospirò e la guardò negli occhi, sperando stavolta di essere convincente. «Quest'area della mensa è riservata. Per questo non ci si avvicina nessuno. Loro non sono mai contenti quando gli rubiamo i posti.»

Nadia corrugò la fronte e si sporse dal tavolo. «Loro chi?»

«Noi.» 

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