Capitolo 8

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Stefano parcheggiò l'auto a poche decine di metri dal cancello. Da lì, nonostante l'oscurità del tardo pomeriggio autunnale e una fastidiosa pioggierellina che riempiva il parabrezza di gocce d'acqua, poteva controllare chi entrava e chi usciva dal complesso nel quale abitavano Marco e Federica.

Sapeva che il cognato quella sera non sarebbe rientrato a casa.

Che fosse vero o meno, e tutti sapevano che era lecito dubitare, era impegnato in un corso di aggiornamento a Milano e sarebbe tornato a Roma solo il venerdì sera.

Sapeva anche che le nipotine erano dai nonni, ad appena due isolati, e che vi sarebbero rimaste per la cena. A Claudia aveva detto che si sarebbe trattenuto in ufficio più a lungo del solito per una riunione importante.

Era furioso. Il suo stato d'animo risentiva delle ultime notti insonni ma soprattutto dell'incubo che lo aveva profondamente scosso.

La giornata in ufficio era stata un autentico disastro. L'Amministratore Delegato l'aveva convocato nel pomeriggio per dirgli senza mezzi termini che lo vedeva decisamente in difficoltà, che da alcuni giorni non era più lo stesso e che le prime conseguenze negative si erano già manifestate con riflessi per l'azienda.

Gli aveva perfino proposto di prendersi una pausa ma Stefano sapeva fin troppo bene che accettare avrebbe significato lasciare il campo libero ad un paio di suoi colleghi che ormai da tempo scalpitavano per prenderne il posto nelle gerarchie aziendali.

Ogni tentativo di parlare con la cognata al telefono era stato vano. Aveva anche provato a celare il numero ma senza risultati.

Attorno alle 15.30, pochi minuti prima di ricevere la chiamata di Serena, la bella quanto scorbutica segretaria dell'Amministratore Delegato, aveva ricevuto un sms.

CIAO STEFANO, STANOTTE MARCO NON RIENTRA E LE BAMBINE RESTANO A CENA DAI NONNI. SE TI VA POSSIAMO PARLARE. SONO STATA UN PO' BIRICHINA ULTIMAMENTE, LO SO.

Alle 18.35, minuto più minuto meno, scorse lo scooter della cognata, un vecchio Scarabeo Piaggio molto ben tenuto, imboccare il viale alberato e fermarsi dinanzi al cancello. Federica scese e sistemò il cavalletto, si tolse il casco e sciolse i lunghi capelli color miele. Quindi estrasse dal baule la catena e assicurò il mezzo ad un palo della luce pubblica proprio accanto al cancello.

Ripose le chiavi nello zainetto e vi estrasse il mazzo delle chiavi di casa. La pioggia era cessata.

Appena vide il portone richiudersi dietro la cognata, Stefano scese dall'auto e lentamente si avvicinò al citofono. Si guardò attorno, sempre assorto nei suoi pensieri. Vide una coppia di anziani attraversare la strada e poco più in là due ragazzi stretti che si scambiavano un bacio appassionato. Non c'era molto movimento e del traffico giungevano solo i rumori.

Dopo aver tratto un profondo sospiro si accinse a premere il pulsante del citofono ma esitò ancora. C'era nella sua testa un intrecciarsi confuso di pensieri e gli parve per un istante di vederli materializzarsi di fronte a lui, nello spicchio d'azzurro cupo sopra la cresta dei tigli, nel volo di stormi di uccelli che disegnavano forme cangianti prima di fondersi e riemergere in altre sagome brulicanti.

Premette il pulsante e attese.

"Chi è?"
"Sono Stefano, apri" disse con una voce piatta e fredda come l'alito di tramontana che gli trafisse il volto.
"Sali pure, stavo entrando in doccia... lascio la porta aperta" rispose lei prima di aprire il cancello.

Stefano salì a piedi i due piani di scale e, prima di entrare in casa, come in un riflesso condizionato, passò le scarpe sullo zerbino per asciugarle.
'Claudia colpisce ancora' pensò tra sé, consapevole di una abitudine cui non faceva neanche più caso e che aveva acquisito per assecondare le manie di pulizia della moglie.
Richiuse la porta alle sue spalle.

Federica (#Wattys2017)Where stories live. Discover now