14. La velocità di fuga di chi batte in ritirata

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Velocità di fuga: anche chiamata seconda velocità cosmica, è la velocità minima iniziale a cui un oggetto (senza ulteriore propulsione) deve muoversi per potersi allontanare indefinitamente da una sorgente di campo gravitazionale come il Sole o un buco nero.





Quarantasette minuti.

È quanto ci rimane per fare irruzione nell'ufficio assegnato al Capo della Polizia, hackerare il suo computer e farla franca. Il tempo che abbiamo a disposizione – quarantasei minuti e cinquantuno secondi, per l'esattezza - non è abbastanza.

Nessuno lo dice apertamente, è chiaro. Nessuno dice niente. Quello che facciamo è seguire il piano di Nicholas Reichenbach quasi alla lettera e non pensare all'infinita lista di conseguenze catastrofiche verso cui ci lanciamo a braccia aperte, mentre nel grattacielo si consuma il caos. Lasciamo che il pericolo ci ingoi tutti interi, succhiandoci il sangue via dalle dita, contraendoci i muscoli senza chiedercene il permesso e masticandoci il petto senza opporre resistenza. Il coraggio non può reggere una morsa del genere, ma l'incoscienza non si arrende.

Mi mantiene vigile, intimando di seguire il piano.

Segui il piano, segui il piano, segui il piano.

La procedura all'inizio è la stessa: prevede di usare le scale anti-incendio per raggiungere l'ottantunesimo piano, rendere inattive le telecamere, confinare gli allarmi al perimetro dell'appartamento e accedere dall'uscita di sicurezza per fare meno rumore possibile. Fin qui le mie gambe doloranti ricordano la fatica a memoria.

È quello che arriva dopo ad essere diverso.

Mi concentro sulla presa instabile di Armand: la vedo stringersi attorno alla maniglia della porta d'emergenza e spingerla verso il basso. Lo fa così lentamente da portarmi a pensare che non basterebbe l'intero peso del suo corpo a tirarla giù.

Almeno fino a quando una lama di luce non mi taglia la fronte a metà.

È tardo pomeriggio, e l'ufficio del Capitano Zelda Hodgkin è illuminato dai deboli raggi di Sole che attraversano i vetri del Grattacelo. Sharazad si affaccia da sopra la mia spalla, in ascolto. Riesco a sentire il formicare di ogni singolo circuito si arrovelli dentro il suo corpo. Riesco a sentire tutto.

Secondo Shad è normale: il mio corpo si sta preparando alla battaglia – o alla fuga, in alternativa - acuendo i miei sensi, privando la mia pelle di sangue pur di irrorare i muscoli degli arti, aumentando la mia frequenza cardiaca.

Un miscuglio eterogeneo di voci che si accavallano ci raggiunge dall'altra parte del piano e mi toglie la capacità di deglutire.

Dopo qualche secondo Armand richiude la porta, poggiandoci la testa sopra con aria terrorizzata. Inizia a respirare con la bocca. Conosco la sensazione di non avere mai abbastanza ossigeno nei polmoni, così guardo l'orologio per dargli l'occasione di riprendersi in santa pace: quarantaquattro minuti. Anche a me conviene tornare a respirare come si deve. Il punto è che ogni boccata d'aria viene fuori così profonda da non vederne la fine.

Fa paura.

È come un tuffo nel buio.

È come entrare in quell'appartamento.

Shad è la prima a trovare la forza di parlare: - Ci sono almeno sette poliziotti, - comincia.

- Credo che stiano coordinando i movimenti di tutti gli altri.

Nel piano non c'è scritto solo perché è retorico: l'ufficio deve essere completamente vuoto se vogliamo avere anche solo la minima possibilità di scamparla. Shad scarta impacciatamente il foglio accartocciato tra le sue dita meccaniche e lo legge con un filo di voce. È incredibile come Nicholas abbia preso in considerazione qualunque evenienza: il suo biglietto è uno schema meticoloso e studiato, come un intervento chirurgico in cui lo step successivo si decide in base alle funzioni vitali di chi è sotto i ferri. Se il problema è del tipo A, la soluzione da rincorrere è B; se l'ostacolo è C, optare per D è la cosa migliore da fare.

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