Anno 1944: una giovane donna viene prelevata con la forza e condotta in un luogo di cui nemmeno nel peggiore dei propri incubi avrebbe immaginato l'esistenza. Settantasette anni dopo la storia si ripete, ma quando Sybil Crowford ne capisce il disegn...
Un messaggio prima di cominciare: si può crescere insieme ad una storia? Per me la risposta è sì, perché per tutta la vita sono stata accompagnata dagli amici di carta e inchiostro partoriti dalla mente di altre persone. Poi, come per magia, mentre ero seduta sui gradini di una scala, sono nati i miei personaggi; personaggi che ho creato io, dettaglio dopo dettaglio, pagina dopo pagina, fino a quando questa minuscola cosa che era Entropy non è diventata più grande di me. Ci è voluto un tempo che alcuni considererebbero ridicolo anche solo per finire questo primo libro e Dio solo sa che cosa mi riserverà il futuro. Ma non importa, davvero. È che questo per me non è alcun debutto letterario, o cose del genere. Una scrittrice io non lo sarò mai, né lo voglio diventare. Le avventure di Sybil Crowford sono semplicemente il mio armadio verso Narnia e spero che nonostante tutto ci potrò sempre tornare. Se siete arrivati fino a qui, grazie. C'è modo e modo di dirlo e spero che anche solo leggendo queste cinque parole voi sappiate che cosa provo. Grazie. Non vi ho mai reso la vita facile, perché Nicholas e Sybil non l'hanno mai resa a me. Neppure stavolta la passerete liscia.
State pronti, saltiamo nel vuoto.
EPILOGO
L'APERTURA DEL SISTEMA
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Sistema Aperto: in termodinamica il sistema aperto è quello che interagisce con l'ambiente esterno scambiando sia energia, cioè lavoro o calore, che materia.
Vigile o addormentata.
Non c'è stato di coscienza in cui io rimanga troppo a lungo da potermici abituare.
Se lotto contro il peso schiacciante appeso alle mie palpebre, imponendomi di rimanere sveglia, l'iperstimolazione contemporanea di corpo e mente finisce per mummificarmi in una condizione di panico devastante. Il suono delle eliche in moto e del vento che scivola lungo le lamiere dell'elicottero; i singhiozzi soffocati dei sopravvissuti che di tanto in tanto azzardano una richiesta senza speranza; il sapore di ferro e di cenere che ristagna sulla mia lingua: l'insieme delle cose è come una tortura assoluta e preminente. Mi sembra di non riuscire a sopportarla. Non lo voglio fare. E allora lascio che la mia testa ciondoli sul tessuto rigido delle cinture di sicurezza, balzando dentro e fuori da un sonno sfinito, dondolata dalle occasionali turbolenze.
Allo stesso tempo, per tutta la durata del volo, faccio ben attenzione a non dormire per più di mezz'ora di fila. Le mie pause durano abbastanza da conservare le ultime energie, ma non sono mai sufficienti a rivederli in sogno, nell'unico luogo in cui siamo ancora uniti e al sicuro.
Io, Shad e Nicholas. E mia madre. E tutti quelli che non ci sono più.
Se mi perdessi nelle strane illusioni che hanno cominciato a popolare la mia mente, rischierei di non riconoscere quello che adesso pare inaccettabile, certo, ma spaventosamente reale.
Più volte nel corso della notte, Maria comunica con i passeggeri sul retro del velivolo, poi allunga una mano per controllarmi il battito delle arterie all'altezza del polso. L'unica volta che i miei occhi incollati si schiudono tanto da cercare il suo viso, lo trovano cerchiato da un calco di stanchezza e lacrime addensate. Si è concessa di piangere solo quando era certa che avremmo avuto una chance e da quel momento ha continuato a farlo in silenzio, senza emettere alcun suono, né spostare gli occhi dai comandi. Forse è stato lì che Nicholas ha trovato il coraggio di separarsi da noi, nella risolutezza di Maria. Sapeva che non si sarebbe arresa. Sapeva che eravamo in buone mani.