Distanza - Capitolo 9

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I giorni si confondono nel grigio della città bagnata.

Che Dicembre fosse di timbro autunnale anche qui, non ne avevo dubbi, ma la foschia che aleggia al di fuori della finestra mi lascia addosso la stanchezza del non far nulla.

Le foglie sono già cadute, il sole cerca di farsi spazio senza riuscire, la rugiada del mattino non mi dà senso di fertilità ma l'idea che tutto sia ancor più umido.

Ripenso a qualche mese fa, con il dubbio che le cose potevano andare diversamente.

Mi annoiavo. Non avevo trovato lavoro, solo un impiego come cameriera che Riccardo mi proibì di fare. Non voleva che tornassi a casa da sola alla sera, ma non si rendeva conto che la solitudine regnava già in queste mura.

Con lo scorrere dei mesi, i suoi orari erano diventati impossibili. Usciva di casa baciandomi la tempia, rientrando senza neanche la voglia di parlare.

Era stanco ed io triste ma non potevo dirglielo.

Me ne sono accorta qualche settimana dopo il nostro arrivo.

Volevo confidarmi, parlare con qualcuno che capisse cosa potesse significare trovarsi fuori luogo, e Lui era il mio porto sicuro, il migliore amico, l'ancora di salvezza. O questo credevo.

Una sera, seduta in salotto, con il silenzio glaciale della stanza, sbuffai appena , osservando la mia zuppa calda nel piatto. Non sapeva di rancido naturalmente ma non avevo nessuna voglia di assaggiarla. Avevo già preso tre chili nelle ultime settimane a causa del mio stallo e la dieta unita alla totale mancanza di vita sociale, mi portò ad emettere quel suono di dissenso da tempo mal somatizzato. Marni alzò la testa udendo il mio involontario gesto, rimasi fissa sulla mia cena quando richiamò la mia attenzione.

Mi chiese perché non ero felice.

Non risposi, era palese la motivazione. Lui non c'era, io vivevo sola in una casa che non sentivo mia, in una via in cui nessuno mi conoscenza e sopratutto in una città che non mi voleva.

Me lo richiese, ma non aspettò la mia risposta. Cominciò a dirmi che sapeva quanto era difficile, ma che presto tutto sarebbe migliorato, che Lui ci sarebbe stato, che Io avrei trovato lavoro, che saremmo tornati quelli di prima.

Bugie.

Dannate bugie! Due schifosi mesi, era questo il tempo che mi aveva allontana dalla mia vita. Non riuscivo ad essere appagata, non mi bastava rimanere con Lui solo la sera, nulla mi sollevava il morale. Poi iniziò ad elencarmi tutti i suoi impegni, i vari perché dei continui ritardi ai nostri appuntamenti, la pressione con il team gli metteva, e tutto ciò che in quel momento poteva sostenere la sua tesi.

Ma io ero più stanca di Lui.

Mentre un Marni teso mi parlava di come la sua vita era piena, mi resi conto di quanto vuota fosse la mia.

La sera finì come tutte le altre, io in cucina a riporre i piatti nella lavastoviglie e Lui davanti alla Tv, imbambolato sulle notizie sportive, attendendo che si parlasse del bel calciatore italiano. Se io mi ero eclissata, Riccardo era cambiato.

Così, dal giorno successivo, ripercorsi la strada che mi aveva inghiottita. Arrivai dopo trenta minuti di tram al luogo che ricordavo. Mi sedetti sullo sgabello come la prima volta.

Claudio era ancora al bancone, con lo stesso grembiule verde, gli zigomi appena accennati e la confusione colorata dei suoi tatuaggi. Negli atteggiamenti era pacato, a tratti timido anche se in certi casi molto spavaldo.
Non chiese, porgendomi la tazza di the. Parlammo per tutto il pomeriggio, come vecchi amici che non si vedevano da chissà quanto.

Passavano i giorni , con il mio corpo che usciva quotidianamente. Ero felice nel poter trascorrere del tempo con Lui. Aveva un che di fraterno nell'ascoltarmi. Io mi confidavo sul mio sgabello e Lui faceva altrettanto servendo birre.
Arrivo' per fino a propormi un lavoro, chiedendomi se ero interessata a tenere qualche lezione d'arte , verso sera, all'interno del bar. Ne avrebbe parlato con il suo titolare che , a detta sua, ne sarebbe stato entusiasta. Declinai l'offerta , Marni non avrebbe mai accettato questi orari. Claudio sorrise strizzandomi l' occhio: " Effettivamente rompi già un po' venendo qui tutti i giorni".

Un pomeriggio, dopo chissà quanti, mi domandò qua l'era il mio film preferito. Ci pensai un po' su, rispondendo senza alcun dubbio La meravigliosa vita di Amelie'.
Sorrise sotto ai baffi: "Hai sbagliato città tesoro mio" . Non era solo Londra il problema, tutto l'epicentro stava nella mia relazione con Marni che si chiudeva sempre più a riccio. Mi aprii buttando sul bancone lucido tutti i miei personali assilli, esternando i miei dolori, le paura e tutti i dubbi che la distanza del mio fidanzato mi faceva venire. Ascoltò senza parlare, passandomi il fazzoletto quando il racconto cominciò a farmi diventare triste. Mi consigliò di stare vicino a Lui. A quanto capiva, tra i due, Io ero l'appoggio, la persona più matura, dunque quella che avrebbe sostenuto il rapporto. Asciugai il mio viso ringraziandolo per farmi da terapeuta. Era la mia Lucia romana.

Chiesi allora qual'era invece il suo libro preferito. Mi disse che L'amore al tempo del colera era uno dei romanzi che più gli erano piaciuti. Mi raccontò come un uomo, per ben 60 anni, si ritrovasse nella condizione di non poter amare nessun altra se non la prima ragazza su cui il suo sguardo infantile si posò . Le delusioni, gli attimi di vero amore, la tenacia con cui inseguiva il proprio obbiettivo, senza sperare ma credendo ciecamente che lo avrebbe raggiunto un giorno, lontano o vicino che fosse.

La metà è lì, basta riuscire a vederla. Mi disse con il bicchiere tra le mani.

Lo ascoltai completamente rapita. Era riuscito a farmi entrare nel libro, a farmi adorare i personaggi, ma, soprattutto, a farmi sognare.

Tornai a casa più positiva, mi aveva insegnato qualcosa quella chiacchierata. Devi vedere il tuo obbiettivo. Mi ripetei per tutta la strada.

Io desideravo solo trascorrere la mia vita insieme a Riccardo, con dei figli ed un lavoro appagante.

Sorrisi soddisfatta.

Prima di aprire la porta, mi domandai se era il caso di parlare all'uomo che amavo dei miei continui pomeriggi lontana da casa, nel luogo in cui lui credeva che fossi.

Gli avrei raccontato degli aneddoti bizzarri che Claudio mi illustrava, dei libri che ci scambiavamo da leggere, della volta in cui siamo andati al cinema dopo che il suo turno era finito oppure di quando l'ho fatto venire da me e ci siamo mangiati una torta con la cioccolata calda. Oppure potevo solo dirgli di quanto fossi felice di aver trovato un'amico.

Aprii la porta pronta per dichiarare le mie fughe innocue. Varcai la soglia sapendo che Lui era già in casa.
Le finestre però non riflettevano luce, tutto taceva all'interno. Entrai chiamandolo senza udire risposta.

Nella soffusa penombra della cucina, mi attendeva con due calici di vino. Mi chiese scusa per ogni singolo momento di sconforto, per avermi abbandonata alla mia solitudine. Appoggiai il telefono sul bancone. Afferrando con entrambe le mani il suo volto, lo baciai bagnandogli le labbra calde. Mi mancavano le sue mani sul mio corpo. Mi mancava Riccardo.

Lo volevo da morire e nulla poteva cambiare questo. Eravamo lì, insieme, ancora una volta.

Mi piego' togliendomi la gonna, assaporando la mia pelle. Ripeteva che mi amava, continuò a farlo finché il mio smartphone si illuminò : " Hai lasciato da me le tue cose. Chiamami .Claudio"





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