Capitolo 46: Lacrime

17 4 0
                                    

Pranziamo sotto la Mole.
Riusciamo a trovare un tavolo nonostante il gran via vai di turisti e studenti in sessione d'esami. Ma il cibo è l'ultimo dei miei pensieri.
Sono tesa per le ore che ci attendono. Spartaco sembra tranquillo, ma sto imparando a conoscerlo e so che difficilmente mostra ciò che ha dentro. Tranne quando... perde la pazienza.
Nadia non parla molto, e la sua vicinanza mi trasmette una strana tensione. Sono cresciuta abituata ad essere io quella speciale. Quella stramba.
Non le persone che ho intorno. Continuo a domandarmi se avrà altre visioni, o se succederà a me.
Ne sono spaventata, perché so che se dovesse accadere, molto probabilmente non sarebbe nulla di buono.
Nadia ha detto che lui è a caccia, in questo momento.
Osservo le ragazze che ci camminano intorno, come se fossimo al centro di un'eterna sfilata di gioventù. E penso che una di loro potrebbe essere la prossima.
Come Michela Verdelli.
Non riesco a togliermi dalla mente gli articoli che ho letto su internet. L'ha uccisa, l'ha mutilata e poi l'ha appesa nuda a testa in giù, fuori dal balcone del suo appartamento.
<<Perché?>>, sussurro, senza rendermene conto.
Spartaco mi guarda e Nadia fa lo stesso.
<<Che cosa?>> mi domanda, mandando giù un sorso di vino.
<<Niente, pensavo a voce alta.>>
<<Avanti, sputa il rospo.>>
<<Mi domandavo... perché appenderla a testa in giù, nuda?>>
Appoggia il calice sul tavolo, si asciuga le labbra con il tovagliolo e poi esita per qualche istante. Volta la testa in direzione della Mole, che si erge alla nostra sinistra.
<<Non lo so, Verdiana. Non ne ho idea. Ma non dovresti pensarci, adesso.>>
<<Già>> si intromette Nadia, <<Ha ragione. Dovresti mangiare la pasta che hai nel piatto, Verdiana. Non l'hai quasi neppure toccata.>>
La osservo e scorgo un barlume di tenerezza nel suo sguardo. Mi rendo conto, d'un tratto, di quanto la situazione in cui mi trovo sia strana. Conosco entrambi da poco, eppure sento che c'è una sorta di legame tra noi. Ho previsto la morte di Nadia, ed è stata la prima volta che il mio "dono" ha rivelato qualcosa che poi non è accaduto. E non è accaduto grazie al modo in cui io e Spartaco abbiamo agito. Forse è questo ad unirci, penso, infilzando due fusilli.
<<Che cosa c'è, Verdiana?>> domanda Spartaco, guardandomi con espressione preoccupata.
Non rispondo. Vorrei continuare ad affrontare gli eventi di petto, con forza, anche con incoscienza, forse. Come ho fatto fino ad ora. Ma poi i miei occhi si posano sull'ombra della Mole, e mi rendo conto di non esserne in grado. Non più.
Sento la diga che ho costruito a fatica, un pezzo dopo l'altro, cedere. Penso a mia madre. Al fatto che è nata qui, in questa città. È cresciuta qui. Ha studiato in uno di questi edifici. Ha respirato l'odore dei muri, dei pavimenti, dei soffitti. È stata seduta in questi ristoranti, in tutti questi caffè affollati e pieni di vita, di storie, di voci. Compresa la sua.
E poi da qui è scappata.
Per morire.
Faccio cadere la forchetta nel piatto ed è come se qualcuno avesse staccato all'improvviso la spina della mia razionalità. Ciò che cercavo di controllare esplode, ed io pure.
Lascio che la testa mi scivoli tra le mani e inizio a piangere, e mentre le lacrime vengono giù e tutti si voltano a guardarmi, penso: "finalmente". Perché mi rendo conto di aver attraversato gli ultimi giorni con un distacco che non mi è mai appartenuto. So che, se non fosse stato così, forse non ce l'avrei fatta.
Ma mentre piango sento il calore della pelle, la forza vibrante dei pensieri che si accavallano uno dietro l'altro, costruendo nella mia mente immagini ora nitide ora confuse del passato e del presente.
Spartaco si alza e mi viene accanto. Trascina la sedia accanto alla mia. Avverto la sua enorme mano sulla spalla, ed è un gran conforto.
Mi tranquillizza rimanendo in silenzio, senza bisogno di una parola. Nadia fa lo stesso. Appoggia una mano sul mio braccio, sorridendo.
Non è il sorriso di una donna felice, me ne accorgo anche nello stato in cui mi trovo. A maggior ragione, mi è d'aiuto.
I singhiozzi cessano lentamente. Quando ritrovo il controllo, asciugo gli occhi con il dorso delle mani.
<<Io... scusatemi. È che...>>
<<No, shhh>> dice Spartaco, stringendo il gigantesco braccio intorno al mio collo, come se fossi un suo vecchio compagno di bevute.
<<Va tutto bene, Verdiana. Mi stavo giusto chiedendo quando avresti iniziato a sembrare umana. Perché, sai... cominciavo a sospettare che fossi un'aliena, o roba del genere. Giusto, Nadia?>>
Nadia annuisce e Spartaco scuote subito la testa. <<Oh, ma a chi lo sto chiedendo? Dimentico di essere tra due fuochi, con voi, signore.>>
Senza rendermene conto, passo dal pianto ad una risata liberatoria.
E Nadia mi segue a ruota.
<<Cameriere!>> esclama lui, e subito un ragazzo sulla trentina si avvicina al nostro tavolo.
<<Tre caffè. E fai in modo che siano meglio della pastasciutta, intesi? Potrei perdere la pazienza. E tu non vuoi che accada, giusto?>>
Il cameriere spalanca la bocca ma non riesce a replicare nulla. Annuisce vistosamente e sparisce di corsa. Spartaco si passa la mano in mezzo alla folta barba, pensieroso.
<<Diventa sempre più difficile trovare ristoranti decenti. Sempre più difficile!>> grida di punto in bianco, guardando torvo il titolare del locale, comparso sulla soglia.
Lo osservo e provo un gran senso di affetto nei suoi confronti. Vorrei abbracciare questo gigante comparso all'improvviso nella mia esistenza, per il modo in cui mi ha consolata. E per tutto ciò che sta facendo per me.
Senza la mia insistenza, magari adesso non sarebbe qui. Si starebbe dedicando ad altro. A suo figlio, per esempio.
So che lo farà, ma d'un tratto la sensazione di inquietudine che avevo provato poco prima, mentre aspettavo lui e Nadia fuori dal bar, si ripresenta. È un senso di tensione sinistra che sento crescere dentro. Irrequietezza. Come se avessi paura che qualcosa di orribile stia per succedere.
E che possa capitare a Spartaco. A loro.
Non me lo perdonerei mai.
<<Ehi, Verdiana. Tutto a posto?>> mi domanda.
<<Sì.>> rispondo. <<Arrivano i caffè.>>
<<Già>> dice, fissando il cameriere che si sta avvicinando con passo timoroso al nostro tavolo.
<<Beviamo il caffè e poi pensiamo a Clara Ravanelli. Se prima non decido di demolire questa topaia a martellate.>>

Verdiana leggeva il futuroWhere stories live. Discover now