Capitolo 31: La prima lezione

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José arriva in libreria con un'ora di ritardo.
Penso che sia quasi un bene.
È stata una notte lunga e difficile. Dopo quanto accaduto a casa di Carlo Imperatore, Spartaco mi ha costretta a staccare la spina. Almeno per un po'. Prima di lasciarmi, mi ha promesso che si sarebbe occupato lui di recuperare informazioni sui componenti della cover band.
<<Ciao José>> gli dico, facendo del mio meglio per sorridere.
José, invece, non si sforza nemmeno di fingere.
È imbronciato. Indossa una camicia azzurra con le maniche arrotolate e jeans sbiaditi.
È abbronzato, molto più di me. I capelli biondo cenere sono ancora più lunghi di quanto mi era sembrato la prima volta.
Si guarda intorno, accarezza alcuni volumi con il palmo della mano e dopo qualche altro passo mi è davanti.
<<Ciao>> risponde infine, tenendo gli occhi lontani dai miei.
<<Sei in ritardo.>>
<<Già.>>
Mi alzo, faccio il giro del bancone fino ad arrivare a pochi centimetri da lui.
<<Non sembra un buon inizio>> gli dico.
Lui annuisce, continuando ad osservare i libri.
<<Leggi molto, eh?>>
Prende una copia de "L'arpa d'erba" di Truman Capote.
Fa scorrere le pagine tra le dita, lentamente.
<<È molto bello>> gli dico.
Finalmente si volta verso di me. Il blu che riempie i suoi occhi è intenso come quello del padre, forse anche di più. 
Esita per qualche momento, il libro in mano, le labbra socchiuse.
Mi soffermo per un istante di troppo ad osservare le curve delicate dei suoi lineamenti. I tratti del suo viso tanto armoniosi da sembrare disegnati. Ma lo sguardo è triste.
<<Verdiana, ascoltami. Non ho intenzione di mettermi a studiare. Né da solo né con te né con nessun altro. Non mi importa.>>
Non rispondo. So che ha altro da dire.
Ripone il libro, infila le mani nelle tasche dei jeans.
<<Mio padre... lo so, deve farlo. È mio padre. È così che fanno, i genitori, giusto? Ma... non ho intenzione di...>>
<<Perché?>>
Adesso, mi guarda con un interesse che mi sembra sincero.
<<Perché è una rottura di palle. 'Fanculo, no?>>
<<'Fanculo?>>
<<Sì. Fanculo.>>
Annuisco.
<<Fanculo>> ripeto.
Torno dietro il bancone e gli chiedo di seguirmi. Per qualche ragione, lui lo fa.
<<Siediti>> gli dico, indicando la sedia che di solito è occupata da mio padre. Lui esita per qualche secondo, poi si accomoda. Io faccio lo stesso, guardandolo.
<<Sai quanto intende pagarmi tuo padre?>>
Si stringe nelle spalle.
<<Bene. Te lo dico io. Sessanta euro l'ora.>>
José sgrana gli occhi.
<<Giusto. Quindi, 'fanculo. Imparerai il latino, José.>>
Lui inclina la testa, socchiude le labbra ma non risponde. Come se stesse cercando di trovare le parole, senza riuscirci.
<<Sai>> sussurro, avvicinandomi un po', osservandolo da vicino, <<voglio proprio confessartelo. Sei un bel ragazzo. Te lo diranno tutte, eh?>>
Nessuna risposta.
<<Ti fai bocciare due volte. La sera esci, ti ubriachi e dormi fino al pomeriggio. Però...>>
<<Non sono affari tuoi.>>
<<Però, la tua stanza è ordinata.>>
<<E allora?>>
Sollevo le spalle. Mi lego i capelli. Non mi sfugge lo sguardo che mi lancia, quasi di nascosto. Il modo in cui lo fa.
<<E allora, dormi circondato da romanzi. Hai una copia de "Il vecchio e il mare" sul comodino. E a quanto pare scrivi dei bei temi.>>
<<Cazzate. Mi piace leggere, tutto qui.>>
<<Hai paura di non farcela, con la scuola?>>
Scuote la testa. Smette di guardarmi.
<<Me ne vado. Bella libreria>> dice, alzandosi.
Lo osservo camminare fino alla porta.
<<Ehi, José. Se tuo padre è disposto a spendere sessanta euro l'ora per farti parlare come Giulio Cesare, forse dovresti dargli una chance.>>
Si ferma, la mano sospesa sulla maniglia.
Si volta verso di me.
E scoppia a ridere.
Per la prima volta da giorni, lo faccio anch'io.

La prima lezione è andata così. Una sorta di... assestamento. È servita più a me che a lui, penso. Credo di aver conquistato un piccolo pezzo della sua fiducia, ed è già tanto.
Mi rendo conto che avevo bisogno di ridere, dopo ieri sera.

Ho pianto, dopo aver visto le fotografie di mia madre nella vasca da bagno.
Sono rimasta immobile davanti a Spartaco e a Carlo Imperatore per un momento che mi è sembrato eterno, poi mi sono portata le mani davanti agli occhi.
Ho fatto qualche passo, raggiungendo a fatica il giardino. Mi sono lasciata cadere sulle ginocchia, poi mi sono chinata a terra e il pianto è esploso, trasformandosi in una vera e propria crisi. Ho strappato l'erba con le mani, senza sosta, vomitando fuori il dolore, tutto il dolore che si era accumulato dentro chissà da quanto tempo. Ho urlato e gridato e tirato pugni sul terreno fino a farmi male alle mani, fino a ferirle e farle sanguinare. Ho rivisto l'immagine di mia madre distesa nel lago del suo stesso sangue più e più volte, in un flashback infinito.
Non mi sono accorta delle mani forti di Spartaco posate sulla mia schiena, né di quelle gentili di Carlo.
Ho sputato fuori tutto il dolore che ho potuto, fino a rimanere senza voce, senza respiro, senza forza.
Poi, è passata.
Carlo e Spartaco mi hanno abbracciata. L'ex commissario è venuto con noi fino alla Panda.
Ho appoggiato la testa al finestrino e ho chiuso gli occhi.

Sto per chiudere la libreria e tornare a casa per pranzo, quando Spartaco compare sulla soglia.
<<Ehi>> gli dico.
<<Ehi>> risponde.
Vorrei raccontargli di suo figlio, anticipandolo, ma dal modo in cui mi guarda capisco subito che non è qui per questo.
<<Ho trovato il cantante della cover band dei Nirvana, Verdiana. Carlo Imperatore ricordava bene. Abita a Rimini.>>
Lo guardo in silenzio, il cuore a mille.
<<Forse vale la pena fargli visita>> dice Spartaco, sorridendo.

Verdiana leggeva il futuroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora