Parte 2 - Capitolo 21: Svanito nel nulla

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Sono trascorse un paio di settimane dalla notte alla spiaggia.
Nadia si è salvata.
È stata dimessa dall'ospedale tre giorni fa. Per fortuna, gli organi vitali non sono stati toccati. A quanto le hanno spiegato i dottori, si è trattato di un centimetro. Appena un po' più a destra, e molto probabilmente sarebbe morta.
Lui, invece, è scappato. Spartaco è convinto che abbia ferito Nadia per procurarsi un diversivo, e in effetti è andata proprio così. Entrambi ci siamo preoccupati di soccorrere lei. L'abbiamo visto allontanarsi nel buio e imboccare una delle scalinate che conducono alla passerella del Lungomare del Vento.
Abbiamo chiamato i soccorsi e risposto alle domande della polizia. Abbiamo fornito anche un identikit, e trascorso parecchio tempo con il commissario incaricato del caso, un certo Lorenzo D'asti. Il lato positivo è che somiglia parecchio a Brad Pitt in "Seven".
Senza scherzare, eh.
L'uomo vestito di nero è accusato di aggressione e tentato omicidio, ma per quanto ne sappiamo è svanito nel nulla.
La tv, internet e i giornali hanno riportato la notizia e diffuso l'identikit. È decisamente somigliante.
In un lungo post su Facebook, il sindaco di Baia Azzurra si è rivolto ai cittadini ma soprattutto alle ragazze e alle donne, sottolineando quanto sia importante mantenere alta l'attenzione nei riguardi degli sconosciuti.

Nel frattempo è esplosa l'estate.
Ho chiesto a mio padre di lasciarmi lavorare di più in negozio. Mi aiuta a non pensare agli eventi degli ultimi giorni. O a provarci, almeno.
Gli ho raccontato quasi tutto, e ha conosciuto Spartaco. Lo zio di Rebecca, dopo gli avvenimenti della spiaggia, ha superato lo scetticismo. Continua a ripetermi che avrebbe preferito rimanere scettico. Mi è rimasto molto vicino, durante queste settimane. Ed è l'unico al corrente di ciò che ho scelto di tenere nascosto perfino a mio padre: il collegamento tra l'uomo vestito di nero e il modo in cui mia madre è stata assassinata quindici anni fa. Non gli ho detto che le scarpe rosa da danza che ha fatto indossare a Nadia era identiche a quelle che mia madre indossava poco prima di essere uccisa nella vasca da bagno. Non gli ho parlato della canzone, che era la stessa suonata dalla radio quella notte.
Non sono sicura delle ragioni che mi hanno spinta a nascondere questi dettagli proprio a mio padre, l'unico che ha sempre saputo tutto del "dono". Mi piacerebbe pensare di averlo fatto per non causargli altro dolore, ma so che non è così. Credo piuttosto che sia perché non ho un quadro d'insieme ancora abbastanza chiaro. Solo piccoli frammenti spaventosi, che conducono alla notte di quindici anni fa.
Ho cercato di metterli insieme, come pezzi sparsi di un puzzle, e il risultato che ho ottenuto, per quanto incompleto, fa paura.
Se le mie ipotesi dovessero rivelarsi corrette, l'uomo che ha ucciso mia madre è lo stesso che stava per uccidere Nadia.

L'uomo vestito di nero indossa anfibi chiodati
L'uomo vestito di nero colleziona anelli dorati

È come il collegamento tra due punti ben distanti tra loro: a e b. Dove "a" è l'omicidio di mia madre, e b" ciò che stava per accadere a Nadia. Il filo che unisce i due eventi è costituito esclusivamente dalle visioni che ho avuto. Quindi, per il mondo esterno non vale niente.
Eppure, i dettagli che collegano i due fatti sono troppo simili per poter essere tralasciati. Le scarpe, la canzone. Il modo in cui Nadia sarebbe morta, nella vasca da bagno.
Ed è qui che si apre un altro interrogativo. Un'altra delle ragioni per cui, al momento, ho deciso di tenere mio padre fuori da queste congetture. Per la prima volta, la mia lettura del futuro si è rivelata errata.
Nadia non è stata uccisa il diciannove di giugno. Non è morta nella vasca da bagno di una camera d'albergo, com'era scritto sul libro.
Prima di lei, non era mai capitato. Ciò che ho letto in passato si è sempre avverato.
Ho avuto modo di conoscere con un anno di anticipo la morte di tre persone, prima di Nadia ed escludendo mia madre. Con lei ero troppo piccola per capire.

La prima volta è stato con Andrea Di Giacomo. Avevo compiuto da poco undici anni. Ero in fila al supermercato con mio padre. Di Giacomo lavorava in cassa. Mi aveva passato una caramella. Nel momento in cui le nostre mani si erano sfiorate, avevo provato in maniera consapevole il primo avvertimento della mia vita. Ricordo il formicolio improvviso in tutto il corpo, tanto forte da trasformarsi in una sorta di scossa. La testa aveva iniziato a girare, le mani a tremare. Mio padre mi aveva domandato se andasse tutto bene. Andrea Di Giacomo mi aveva guardata, sorpreso. Ricordo la paura, perché non capivo che cosa mi stesse succedendo. L'avvertimento era durato trenta secondi, forse poco più, ma a me era sembrato un tempo molto più lungo.
Durante il ritorno a casa, in auto, avevo detto a mio padre che mi sentivo bene. Ma quella sera, quando ero già sotto le coperte, avevo sentito di... dover aprire il cassetto del comodino accanto al letto.
Non sapevo spiegarmelo. Ma ricordo il senso di urgenza, di necessità. Semplicemente... dovevo aprire il cassetto.
Così l'avevo fatto.
La mia mano si era messa a frugare tra alcune cianfrusaglie. Avevo tirato fuori un paio di vecchi quaderni, certi animali in miniatura con cui non giocavo da anni e una fotografia di mia madre. La foto si trova ancora nel cassetto, adesso. Credo sia stata scattata da qualche parte in Val D'Aosta. È una bella immagine. Mia madre in mezzo alla neve, con me in braccio. E sotto lo scatto, avevo trovato il libro. "Le avventure di Rock il topino magico".
Spinta dalla stessa sensazione di urgenza che mi aveva portato ad aprire il cassetto, avevo iniziato a sfogliare le pagine. Una dopo l'altra, come se stessi cercando qualcosa ma senza avere la più pallida idea di cosa fosse. Le immagini del topo si susseguivano in fretta, un'avventura dopo l'altra. Rock a pesca. Rock che giocava a pallacanestro, con tanto di divisa rossa e blu. Rock nello spazio. E poi...
Una pagina bianca, più o meno a metà libro. E in quella accanto, poche frasi che non avrei mai più dimenticato.

Andrea Di Giacomo morirà il dodici ottobre del 2017.
Verrà investito da un camion frigorifero mentre attraversa la strada sulle strisce.

Avevo sentito il cuore correre veloce nel petto. Avevo riletto le frasi, più e più volte. Non avevo idea di chi fosse Andrea Di Giacomo. Non potevo sapere che quello fosse il nome del cassiere che avevo incontrato poco prima.
Avevo chiamato mio padre, gridando, spaventata.
Lui era entrato di corsa nella mia stanza. Gli avevo mostrato la pagina del libro, e mi aveva guardata con espressione strana. Confusa.
<<Che cosa c'è che non va con questa pagina, Verdiana?>>
<<Ma come? Leggi! Che cosa significa, papà? Chi è Andrea Di Giacomo?>>
<<Andrea... chi?>>
Avevo ripreso in mano il volume, quasi con forza, seccata perché mio padre non riusciva a capire. Avevo riletto la frase, poi gliel'avevo indicata con il dito.
<<Qui, papà! Leggi!>>
Lui aveva continuato a fissarmi e la sua espressione era passata da confusa a spaesata.
<<C'è scritto che Rock il topino magico ha sparato tutti i colpi del fucile al luna park, senza colpire neanche una sola bottiglia. Beh, sembra che questo topo non abbia una gran mira, eh?>>
Mi aveva guardata cercando di nascondere il turbamento sul volto, senza però riuscirci. Ricordo di aver provato un gran magone, allora. Un nodo in gola che avrei voluto far esplodere in pianto, perché mio padre non capiva.
Perché non leggeva ciò che leggevo io? Perché?
Ero tornata a guardare la pagina, e...
Le due frasi erano scomparse.
Al loro posto, un disegno ritraeva Rock il topino magico con un grosso fucile in spalla. Mirava a una fila di bottiglie dietro un bancone. Sullo sfondo, le giostre del luna park. E in basso, una scritta:
Rock il topino magico ha sparato tutti i colpi del fucile, ma non ha centrato neanche una bottiglia!
Avevo sollevato gli occhi carichi di lacrime verso mio padre, e poi ero scoppiata a piangere.
Dopo, gli avevo spiegato ciò che mi era successo.
E lui mi aveva creduto.

Un anno più tardi, era stato mio padre a riconoscere la fotografia di Andrea Di Giacomo sul quotidiano locale che comperava ogni mattina. Stava leggendo in auto mentre mi aspettava all'uscita della scuola.
Mi aveva mostrato lo scatto non appena ero salita.
<<Tesoro, te lo ricordi? Lavorava al supermercato. E...>>
Avevo guardato l'immagine, che lo ritraeva sorridente.
Avevo letto il trafiletto sotto il titolo, "Uomo muore investito da camion frigorifero".

"Andrea Di Giacomo lascia moglie e figlia di sei anni in seguito al tragico incidente avvenuto a pochi passi dal supermercato in cui lavorava. Stando ai primi accertamenti, l'uomo è stato investito da un camion frigorifero mentre attraversava la strada sulle strisce. Non è chiaro se il conducente fosse in stato di..."

Avevo alzato gli occhi verso mio padre. Ci eravamo guardati. Lui aveva socchiuso le labbra. Io avevo soltanto annuito, il cuore a mille, le tempie che pulsavano.
Era iniziata così.

Le letture che avevo avuto in seguito si erano avverate. Proprio come quella di Andrea Di Giacomo.
Ma adesso qualcosa è cambiato, e non riesco a capire. Sono stata io a modificare il corso degli eventi?
È stato Spartaco, quando mi ha salvata dai tizi al porto?
E qual è il significato dei collegamenti con l'omicidio di mia madre?
Sono domande che non mi lasciano dormire.
Quanto vorrei che fosse più...
La porta del negozio si apre.
Riconosco l'enorme profilo di Spartaco sulla soglia.
Mi guarda e sorride, ed io ricambio.
<<Ciao, Verdiana. Hai qualche minuto per questo povero vecchio?>>

Verdiana leggeva il futuroOnde histórias criam vida. Descubra agora