Capitolo 26: Verdiana, ti presento Josè

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Ci sediamo a un tavolino di un bar poco distante, all'aperto, davanti al mare.
<<Verdiana ti darà una mano con il latino, José.>>
Lo guardo e lui strabuzza gli occhi.
<<Che cosa?>>
<<Hai sentito. La tua media del tre dovrà cambiare, il prossimo anno. Abbiamo un'estate a disposizione, nei tempi decisi da Verdiana, naturalmente.>>
<<Si può sapere chi sarebbe questa Verdiana? E da dove diavolo è saltata fuori?>>
Socchiudo le labbra, ma non faccio in tempo a dire nulla. Spartaco fa partire una manata sul collo del ragazzo. E non in modo amichevole, questa volta. Soltanto a sentire il rumore dell'impatto, mi sembra di provare dolore.
<<Ragazzo! Guardami e ascoltami, perché non intendo ripetermi, d'accordo?>>
José si tocca il collo con un'espressione di dolore, ma non risponde.
<<Rispondi, José!>>
<<D'... d'accordo.>>
<<Per prima cosa chiedi scusa a Verdiana.>>
<<Non importa>> mi intrometto, ma lui alza un dito mettendomi a tacere.
<<Va bene, va bene. Scusa, Verdiana.>>
<<Ottimo>> commenta, liberandosi in un solo morso della seconda brioche alla crema. <<José, in una circostanza differente avrei parlato con te faccia a faccia. Ma non posso farlo. Voglio che lei sia presente.>>
<<Ma perché?>>
<<Perché voglio che tu possa vergognarti.>>
<<Senti, non mi importa nulla della scuola.>>
<<Non mi riferisco alla scuola>> grida Spartaco, e un paio di signore appena arrivate accanto a noi si voltano a guardarci.

<<Parlo di ieri notte. Di come ti sei ridotto. Non deve più succedere. Mi sono spiegato?>>
<<Io...>>
<<Mi sono spiegato?>>
José fissa suo padre. Poi, si gira verso di me.
Arrossisco, lo so. Arrossisco.
Ma a lui capita la stessa cosa.
Abbassa la testa, in silenzio. Fissa il cappuccino, che non ha nemmeno toccato.
Spartaco gli si avvicina, sporgendosi in avanti. Poi, abbassa il tono della voce fino a trasformare le parole in sussurri che fatico a comprendere.
<<Verdiana ti darà una mano con il latino. Mi aspetto che il prossimo anno tu arrivi ad una media del sette. Non di meno, non di più. Sette, José.>>
Lui non risponde.
<<Sette in latino, e sarai promosso. La vostra classe è in mano alla professoressa Meridiani. Dimostrale che hai imparato la lezione, e te la caverai.>>
Una pausa, durante la quale manda giù il caffè.
<<L'alternativa, José, è mollare la scuola e andare a lavorare.>> Si interrompe, scuote la testa, solleva le spalle. <<In una fabbrica, magari. Dieci ore al giorno. Su turni alternati. Significa anche di notte. E bada bene, non ci sarebbe nulla di male. Impareresti qualcosa sulla vita vera. Ma...>>
José torna a sollevare lo sguardo.
<<Ma>> conclude Spartaco, <<ciò che voglio farti capire è che in questo momento hai un'alternativa. E sai qual è la cosa che mi fa incazzare di più? Che a quanto pare scrivi dei bei temi, figliolo.>>
José socchiude le labbra. Vedo una lacrima rigargli il viso.
Spartaco si alza, gli si avvicina.
<<Tirati su. Avanti, Benzema, avanti. Fatti abbracciare.>>
Lo stringe a sé, e José lo lascia fare.
Poi, non riesce a trattenere il pianto. Spartaco gli preme la nuca contro il torace, con la sua mano enorme, come se suo figlio fosse ancora un bambino. E mi rendo conto che è proprio di quel gesto che José aveva bisogno.
<<Vai, adesso. Lavati la faccia. Devo scambiare ancora un paio di parole con la nostra amica Verdiana.>>
José si asciuga le lacrime con il dorso della mano e si alza, diretto verso il bagno.
<<Dovevo farlo, Verdiana. E dovevo farlo davanti a te.>>
<<Lo so. L'ho capito.>>
Annuisce. Afferra l'ultima brioche rimasta, e in un boccone fa sparire anche quella.
<<L'arroganza è una brutta bestia. E lui un bravo ragazzo. Ma la testa>> dice, toccandosi la fronte con l'indice, <<è tutto. Ho dovuto farlo davanti a te. Gli servirà.>>
Annuisco, alzandomi.
<<Devo andare. Dì a tuo figlio che ci possiamo vedere domani mattina. Alla libreria di mio padre.>>
<<Va bene. Ti passo a prendere alle quattro, oggi pomeriggio. Carlo Imperatore ci aspetta.>>
Rimane in silenzio per un momento, esitando.
<<Sempre che tu te la senta ancora.>>
<<Me la sento>> rispondo. <<Me la sento.>>

***
Il suo treno arriva a destinazione più o meno nello stesso momento in cui Verdiana e Spartaco si apprestano a suonare il campanello sulla porta di Carlo Imperatore.
La prima cosa che nota, scendendo dal vagone, è che la stazione è cambiata rispetto a come la ricordava.
Certo, sono trascorsi quindici anni dall'ultima volta che ci è stato.
Però, non appena supera il binario e si trova sotto la grande galleria, la memoria lo travolge come l'onda mortale di un mare in burrasca.
Un grande negozio di abbigliamento ha sostituito il loro bar.
Com'è potuto accadere?
Anche il Mc Donald è scomparso.
E le cabine telefoniche.
Oh, le cabine telefoniche.
Quante telefonate fino a lei, da lì.
Quanti gettoni.
Din. Din. Din.
Può ancora sentire il rumore che fanno. E gli squilli del telefono.
E poi, la sua voce.
Oh, la sua voce.

Rimane immobile per un lungo momento, in mezzo alla folla di gente che passa e che non si accorge di lui, del suo cappellino e dei suoi baffi finti.
Nessuno sa che è tornato.
Ma presto lo sapranno.
Quante ragazze, pensa.
Quanta scelta.
Sente l'eccitazione salire a dismisura, domandandosi come potrà essere trovarsi al centro della ricostruzione proprio qui, nella città in cui tutto è iniziato.
Una ragazza bionda, alta, carina e troppo distratta gli urta la spalla.
Lui alza gli occhi verso di lei, la guarda.
E subito lei gli sorride.

Verdiana leggeva il futuroWhere stories live. Discover now