Epilogo

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"Si può sapere dov'è finito il telecomando?"

Sbuffo, cercando di riprendere il controllo. La voce di mio padre spicca su tutte le altre. C'è una tale confusione qua dentro! L'appartamento sembra più piccolo che mai. L'odore dell'arrosto in forno mi sta dando la nausea, le voci di tutti si accalcano una sull'altra generando un chiasso forte, ma dopotutto, gradevole.

Sposto lo sguardo su mia madre che sta armeggiando con una teglia di antipasti, cercando di liberarla dalla pellicola trasparente in cui è avvolta, commentando tra sé e sé. Dall'altra parte, in salotto, mio padre è chinato sulle ginocchia di fronte alla piccola stufa blu, aprendo lo sportellino con un guanto da cucina, estraendo un pezzo di legno dalla cesta in terra. Andrea lo osserva da un paio di metri di distanza, mentre mio padre gli spiega l'ingegneria alla base dell'accensione di un fuoco. "I pezzi più grossi vanno sotto, e quelli più piccoli sopra", spiega, muovendo l'attizzatoio con fare deciso. L'espressione di cortese attenzione di Andrea mi provoca una risata. Non appena mio padre smette di parlare, lui si volta verso la televisione e continua il suo interminabile zapping tra film natalizi.

I miei nonni sono già seduti a tavola, impazienti di cominciare: mio nonno, come suo solito, sta ricordando un episodio della sua carriera militare che ognuno di noi ha potuto sentir raccontare almeno dieci volte, mentre mia nonna maneggia la tovaglia rossa con le stampe di piccole renne, osservandone la fattura.

Dall'alto della mia posizione, posso vedere attraverso l'ampia finestra del salotto: di fuori, la neve continua a cadere in fiocchi di grandi dimensioni, sullo sfondo nero della sera. Un moto di emozione improvvisa mi sale al petto.

Torno a concentrarmi su quello che sto facendo. Cosa stavo cercando? Ah, sì, un vassoio ovale piuttosto lungo che dovrebbe trovarsi proprio sul ripiano più alto del mobile. Sposto un paio di pentole, afferro uno spremiagrumi e con l'altra mano afferro finalmente il vassoio che mi interessava. Nello scendere dalla sedia, perdo per un momento l'equilibrio.

Proprio quando mi sembra di capitombolare a terra inesorabilmente, una mano forte e decisa mi prende un fianco e mi regge. Gli occhi di Filippo si puntano preoccupati sui miei.

"Stai bene?"

Le sue braccia accoglienti mi sostengono a mezz'aria, come se stessimo ballando un lento e fosse venuto il momento del casqué. Lo guardo incantata nel suo maglione natalizio verde con una renna sul davanti e il naso luminoso in rilievo. Poi, tenendogli una mano sulla spalla, mi rialzo senza staccare gli occhi dai suoi.

"Grazie, sì, ho solo avuto un capogiro."

Filippo mi sorride e afferra il vassoio che tengo in mano, lo posa sul ripiano della cucina e mi da una carezza sulla guancia. Non posso farci niente, ogni volta è come la prima. Ogni piccolo contatto mi scatena un turbine di emozioni proprio come succedeva mesi fa. Ancora non mi sono abituata all'idea che le sue mani, le sue labbra, le sue braccia, appartengono allo stesso uomo che ora condivide il letto con me, nell'appartamento in cui mi ero trasferita da sola per ricominciare una nuova vita.

"Deve essere la prima volta che ospitiamo così tante persone, qui dentro".

"Già, è piuttosto stretto, in effetti." E nel dirlo si avvicina a me schiacciandomi contro il mobile della cucina, il viso a pochi centimetri dal mio.

Ho il cuore a mille, ma non posso farmi trasportare. "Già, è stretto, e ti ricordo che proprio nell'altra stanza ci sono i miei genitori". Entrambi scoppiamo a ridere come due ragazzini. Siamo poi richiamati all'attenzione dal suono del campanello. Ci scambiamo un'occhiata carica di aspettativa e andiamo entrambi di corsa alla porta.

Appena si apre uno spiraglio, una ventata gelida mi travolge facendomi girare la testa. Anche Paolo e Celeste appaiono intirizziti dal freddo, con berretti e giubbotti completamente coperti di neve.

Vicino al cuoreWhere stories live. Discover now