Parte 22 Tornare alla realtà

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Appena Filippo parcheggia l'auto di fronte all'ospedale, un'ondata di dubbi mi travolge. Come mi dovrei comportare? Lo seguo fino alla stanza di sua madre? Posso rimanere fuori dalla porta? O è meglio che resti direttamente in auto? Il cuore mi batte come se dovessi decidere io le sorti del destino dell'umanità.
È Filippo a venirmi in soccorso, aprendomi la portiera e porgendomi la sua mano. La afferro ancora un po' indecisa ed esco dall'auto. Non ci diciamo una parola mentre entriamo nervosamente nell'edificio.  Dopo essersi rivolto all'infermiera in accettazione per farsi dire dove può trovare la stanza di sua madre, mi prende la mano e fissa i suoi occhi nei miei. "Sei con me?" Avvicina ancora di più il volto al mio. "Sei pronta?". Annuisco trattenendo il respiro. Poi mi lascio guidare tra i corridoi.

Dopo qualche minuto Filippo si blocca di fronte ad una porta, osserva concentrato il numero della stanza fissato alla parete, ed espira rumorosamente. Mi prende l'altra mano e si avvicina a me, poggiando la fronte contro la mia. Chiudo gli occhi inspirando il suo profumo.
"Mi dispiace per come sia finito il nostro weekend.", mi sussurra.
Riapro gli occhi e lo guardo contrariata. "Non ci pensare nemmeno. Entra, vai da tua madre".
Mi sorride un po' tristemente e mi lascia le mani, per dirigersi verso la porta ed aprirla. Io mi avvicino alla piccola finestra quasi interamente coperta dalla tendine all'interno, ma sforzandomi riesco ad intravedere un paio di letti, sopra uno dei quali è semi seduta una donna anziana dai capelli chiari e disordinati, e una fasciatura in testa, Filippo che si siede sul suo letto e le accarezza il viso.


Le luci dei neon mi fanno sbattere le palpebre, tanto che dopo qualche minuto ho gli occhi completamente asciutti e iniziano a bruciarmi. Mi tiro indietro i capelli e cerco di rilassare il collo. Sono così scomoda su questa sedia, l'aria condizionata nel reparto è talmente forte che ho la pelle d'oca sulle braccia, e il mio cuore non ha ancora ripreso a battere normalmente. Irrequieta, prendo ad attorcigliare intorno al mio polso il bracciale dorato. Proprio questo bracciale è appartenuto per tutti quegli anni alla donna che ora riposa in questa stanza. Un simbolo di amore e di fiducia che ha superato addirittura la morte.
Perché lui non l'ha dato a Laura?
Questo pensiero mi colpisce improvvisamente. Già, perché? Lei è sua moglie. Voglio dire, si sono scambiati delle fedi, hanno cresciuto dei figli insieme, passato tante difficoltà. Lei non se lo meritava?
Magari lei non l'ha voluto.
Basta, non devi più pensarci.
Ma non riesco ad essere abbastanza convincente con me stessa. Poche ore fa, quando ho detto ad Alberto che lui era un amico di famiglia, Filippo ha assunto un'espressione che mi ha sinceramente spaventata. Ha davvero pensato che non valesse la pena continuare questa cosa con me? 

D'un tratto la porta della stanza si apre lentamente. Ne esce Filippo, che la richiude facendo attenzione a non fare rumore. Mi alzo andandogli incontro tenendo la mia borsa tra le mani.  

"E' tutto a posto. Credo che non sia nulla di grave, ma preferirei parlare con un medico. Lei, come al solito, non ricorda nemmeno più cosa sia successo. E' più disorientata del solito, mi ha chiamato Giovanni".
Fa un leggero sorriso, con gli occhi velati dalla tristezza.
"Chi é Giovanni?"
"Era mio padre." Scuote la testa. "Ora provo a cercare il medico di turno, intanto mia madre si è assopita. Tu puoi restare qui?"
"Ma certo." Cerco di non darlo ad intendere, ma la mia voce rischia di spezzarsi da un momento all'altro. Ho talmente tante emozioni contrastanti dentro di me, che vorrei solo piangere. Intanto lui mi prende una mano e la bacia dolcemente, per poi allontanarsi dall'altra parte del corridoio.


Non voglio stare qui. Questa sedia è scomoda, fa freddo, questo corridoio è affollato, e non voglio che chiunque passi possa vedere la mia espressione. Lancio uno sguardo alla porta della camera di Adele. Mi avvicino furtivamente e la socchiudo leggermente. La signora sta dormendo profondamente, e l'altro letto è vuoto. Addocchio una poltroncina dall'altro lato della stanza, e decido che fa decisamente al caso mio. Richiudo la porta e, camminando come un gatto per non rischiare di svegliarla, mi ci abbandono completamente.

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