Forse ciò che cerco neanche c'è

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"Non ci credo! Non sapevo che te l'avrebbero lasciata portare qui." Dice sorpreso Leandro studiando la motocicletta di mio padre. Capisco il sentimento che gli balena negli occhi mentre i ricordi tornano a bussare alla porta del suo cuore: credo siano gli stessi che sento io.

Salgo in sella e stringo le manopole immaginando la sensazione del vento che ti frusta le guance e l'aria pulita che ti rigenera i polmoni.

"Non ci credevo nemmeno io quando è arrivata la lettera dall'esecutore testamentario" dico io con un sorriso.

Poi sento quella piccola scossa. L'istinto di prendere e scappare.

"Prendete la mia moto" lancio le chiavi a José, che nel frattempo si è appoggiato al serbatoio dell'Aprilia. "Andiamo a sentire i tuoni"

I miei amici si scambiano uno sguardo d'intesa e prendono i caschi che gli ho fatto lasciare qui in garage. Io scendo dal sellino, prendo la mia giacca, il casco e le chiavi del MTT 420rr. Solo toccandole mi tremano le dita. Le inserisco nel quadro e i miei migliori amici salgono in sella alla mia motocicletta risvegliando il motore.

Solo cinque minuti, mi riprometto. Torneremo tra cinque minuti.

Do gas e, nonostante sappia che quello che sto per fare è oltre i limiti della legalità, lo faccio comunque. Sollevo i piedi ed esco dal garage.

Mi sento nel mio elemento quando esco dal cancello aperto e faccio segno a José di seguirmi.

In pochi secondi stiamo già sfiorando i centocinquanta chilometri orari e non ho intenzione di fermarmi. Mi immetto nella tangenziale e spingo al massimo il motore. Ho la sensazione di essere su un cavallo lasciato libero di correre in un prato infinito. Anche sono io ad avere il controllo, lascio che sia la moto a condurre.

Centosessanta.

Guardo nello specchietto e vedo i miei amici avvicinarsi sempre di più.

Accelero ancora, tanto riescono a tenere la mia velocità.

Centosettanta.

Gli automobilisti al volante si girano quando passo, ma non fanno nemmeno in tempo a vedermi.

Centoottanta.

So che sono arrivato al limite della mia Aprilia, però ho bisogno di correre al massimo. Decelero quel poco che serve per farmi raggiungere da José e gli faccio un segno per fargli capire che li aspetterò alla prossima uscita. Lui annuisce e torna a concentrarsi sulla strada.

Io faccio un respiro profondo, espiro e accelero finché il polso non mi fa male. Supero come una saetta i miei migliori amici e inizio a fare lo slalom tra le auto per crearmi una strada. Trovo un rettilineo dove non c'è nessuno, allora lascio il manubrio con una mano, alzo lo sguardo e mando un bacio al cielo. Ti piace come corro, papà? Mi vedi adesso? Una macchina mi passa accanto e mi riscuote dai miei pensieri. Va velocissima, ancora più veloce di me. E non posso non pensare al fuoco. Fuoco sulla settima curva. La gente sulle tribune si alza. La gente sulle tribune urla. La gente sulle tribune è spaventata. Scuoto la testa e torno al presente maledicendo quel pazzo che mi ha praticamente sfiorato con la carrozzeria della sua auto sportiva.

Lancio un'occhiata al contatore e noto la velocità: duecentocinquanta.

Un sorriso orgoglioso mi illumina il volto e decelero fino a tornare sotto i cento chilometri orari. Prendo l'uscita per il centro di Roma e accosto nel primo spazio che trovo.

Nemmeno un minuto dopo vedo la vernice rossa dell'Aprilia avvicinarsi e Leandro farmi segno di partire e far loro strada.

Mi immetto nella strada e torno a Colle Veio.

Io che sento i tuoniWhere stories live. Discover now