Lavoro in fabbrica

I giorni natalizi si stavano avvicinando sempre di più, e con essi un freddo pungente che avrebbe portato molti poveri senza una fissa dimora a patire una terribile condizione. Purtroppo quell'anno, le associazioni di carità non avevano portato nessun indumento abbastanza caldo per dare loro un po' di sollievo, e loro avrebbero dovuto quindi cavarsela con quel poco che ancora riuscivano a conservare. Ma chi soffriva di più quella condizione di freddo e solitudine? Chi più di un uomo povero e vecchio sentiva di non aver un Natale felice? I bambini degli orfanotrofi guardavano la neve scendere dalle finestre della fabbrica tessile che quella grande città vantava da diverse generazioni. Alcuni non erano proprio senza famiglia, ma un genitore su due di certo non si era fatto sentire dalla nascita. Certi erano piccoli contadini che non potevano andare a raccogliere le verdure nei campi, poiché prive di qualsiasi ortaggio capace di sfamare una bocca. E la maggior parte restante di quel capannone vedeva povere creature che non avevano mai ricevuto una carezza, oppure che l'avevano persa per sempre.

Il capannone, però, non era visibile del tutto, era situato in una zona comunque abbastanza riservata dalla grande città perché i fumi e gli odori forti che le scorie lasciavano non intaccassero la quiete vivere dei cittadini. Per raggiungerlo occorreva percorrere una strada a bastanza lunga da lasciare senza fiato pure un cavallo che trainava un calesse molto pesante, piena di buche, massi sporgenti e altri ostacoli che spesso e volentieri facevano inciampare i poveri passanti facendogli cadere tutto quello che avevano in mano. Non era insolito uscire dai portoni con la merce candida e appena cucita e tornare con almeno metà dei prodotti da rifare per colpa del fango che la forte umidità aveva prodotto, come non era strano uscire con le scarpe pulite e tornare con le stesse calzature ma tutte rotte e sporche. Il vero problema, essendo anche l'unico in quel campo, era che il sindaco della grande città pareva non voler proprio considerare tali disagi, anzi probabilmente faceva proprio finta di non vedere.

Quella sera in particolare, come tutte quelle che l'avevano preceduta da inizio Novembre, la piccola Minù si era recata nel centro della grande città per provare a vendere le sciarpe che lei e il resto dei bambini avevano tessuto con fatica e dedizione. Non erano molto bravi ad usare le macchine, erano ancora troppo piccoli per maneggiare con disinvoltura quei grossi mostri meccanici, rischiando di rimanerci schiacciati. Lo aveva visto qualche volta: alcuni suoi compagni avevano seriamente rischiato di rimetterci la vita, o nel migliore dei casi un braccio intero. I dipendenti effettivi della fabbrica non sempre stavano a guardare cosa facessero, per loro erano una fonte di aiuto nemmeno troppo importante, dato che finivano sempre per delegare loro compiti pericolosi.

Il centro era come sempre colmo di persone che ammiravano le vetrine addobbate dei negozi e i tavolini arredati delle bancarelle. Un'attenzione del genere, Minù lo sapeva molto bene, non l'avrebbero mai rivolta al suo piccolo banchetto di sciarpe minuscole che teneva di una scatola. Non aveva mai capito il compito che le avevano assegnato. Dicevano sempre che a seconda della merce venduta, avrebbe avuto dei regali, ma tutti erano consci del fatto che NESSUNO avrebbe preso una sciarpa o qualsiasi altro indumento. A volte era sicura lo facessero solo per attendere pazienti la sua morte, tanto di una ragazzina minuta e senza famiglia, chi mai si sarebbe fatto il problema?

“Mi scusi… vorrebbe una sciarpa per i suoi figli? Oppure un paio di guanti…”

“Io non ho figli. Sparisci”.

“Oh… va bene… signora, mi scusi…”

“Non ho tempo adesso”.

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