Capitolo 14

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Smette di mangiare dopo quella giornata perché ogni cosa che mangia gli fa venire la nausea

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Smette di mangiare dopo quella giornata perché ogni cosa che mangia gli fa venire la nausea. Non studia, non esce con i ragazzi e non parla con nessuno. Il tempo gli scivola addosso e l'unica cosa a cui riesce a pensare, l'unica cosa che lo manda avanti è il fatto che si odia e che non ha capito niente. Non ha mai davvero capito niente di Louis, di suo padre, della sua vita. E non c'è niente da fraintendere, perché è così chiaro che Louis non volesse andare a letto con Lisa quella sera, era tornato a casa da solo. Eppure l'indomani Lisa era lì perché Jack ce l'aveva portata. Il passaggio successivo è ciò che fa accapponare la pelle a Harry. È il motivo per cui dopo essere tornato da lezione e aver finto sorrisi di circostanza non ha le forze neanche di dormire. E infatti non dorme. Sta in camera sua a contare i giorni che sono passati da quando Louis è partito e già dopo il primo erano diventati troppi. Sta a casa ad aspettare che ritorni, solo per respirare il suo odore e tenerlo stretto. Solo perché vuole proteggerlo da qualcosa di molto più grande di loro.

Si mette a letto sperando di addormentarsi e tutto ciò che vede quando chiude gli occhi è l'ultimo anno della sua vita scorrergli davanti come un film. Tutto ciò che credeva e che adesso non ha più nessun valore, l'idea che si era fatto di Louis e della sua libertà, non sa più cosa sia vero e cosa sia finto. E rivede Jack davanti a lui. Il rapporto che ha con Louis, come se il ragazzo fosse suo fratello minore o il compagno di bevute e non il figlio. E Louis ha controllato ogni cosa, ha mosso ogni filo con estrema precisione e attenzione facendo in modo che niente si ingarbugliasse.

Il punto di rottura arriva quando meno se lo aspetta. Arriva mentre sta dipingendo la sua idea di gabbia, per uno stupido compito che gli ha dato il professore e realizza che è Oxford la sua gabbia. E la mano che tiene il pennello gli trema, gli occhi sono appannati da troppe lacrime e non riesce a respirare. Immerge le dita nella pittura continuando a dipingere con esse e graffia la tela con le dita al pensiero di quanto male siano in grado di fare delle mani, proprio come le sue. Un urlo spezzato gli sfugge rauco e spinge via il quadro con la mano facendolo cadere a terra. Il viso e i capelli sono sporchi di colore, un filo di saliva gli cola dalla bocca, che è scossa da troppi spasmi per chiudersi e singhiozza aggrappato al treppiedi. Urla nel silenzio di quella notte.

Si tira indietro i capelli che gli coprono la fronte e un conato lo fa piegare contro sé stesso. Un fiotto di bile gli risale caldo dalla bocca dello stomaco, Harry lo sente risalire mentre gli esce dalla bocca e cade sul pavimento insieme alle sue lacrime. Piange perché è caduto, si rompe perché è vivo. Respira soltanto perché gli manca il suo odore.

Non ha la forza di parlare, vuole solo che lui torni a casa, lo ripete nella sua testa in una nenia indistinta mentre crolla su quel pavimento.

"Torna, torna, torna, torna, torna..."

A volte ti tengono in gabbia per così tanto tempo che pensi che qualcosa di leggermente migliore equivalga necessariamente alla libertà, non è mai libertà, è solo una gabbia più grande. Si addormenta avvolto dal buio, cade in un sonno agitato scosso da spasmi e lacrime dopo una settimana.

Golden CageWhere stories live. Discover now