Parte 1 L'unica a non essere rimasta uguale sono io

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Mi sveglio con la netta sensazione di stare per cadere.

Ansimo guardandomi intorno, accaldata, sudata, i capelli castani arruffati e per metà sul viso. Gli occhi sono ancora appiccicati e faccio fatica a guardare intorno a me, poi man mano che sbatto le palpebre i contorni si fanno più nitidi: la cassettiera bianca, lo specchio a muro, la porta finestra spalancata e le tende leggere che svolazzano: sono nella mia camera.

Riemergo dall'intontimento per rendermi conto di trovarmi nella casa dei miei genitori. Che giorno è? Ah sì, il primo giugno. È iniziato il periodo dell'anno che mi è sempre piaciuto. Solo che il peso allo stomaco che sento non mi permette di sentirmi leggera come vorrei.

Mi alzo tentennando, sforzandomi di mettere un piede davanti all'altro in direzione del bagno, per poi sedermi sulla tazza. Mi tengo la testa tra le mani poggiando i gomiti sulle cosce, sbadiglio cercando di rimettere in chiaro le idee.

Da qualche mese ormai le cose non andavano nel migliore dei modi, e quasi tutti i miei risvegli sono così, quasi come riemergere da una serata alcolica a cui però non ho partecipato. Ma fino a qualche mese fa i risvegli avvenivano nel letto che avevo condiviso con Emanuele, mentre, da una settimana a questa parte, quel letto viene scaldato solamente da un lato, e non da me. E sono convinta di non voler mai più niente di diverso.

L'annebbiamento sta man mano passando e inizio ad acuire gli altri sensi; odo un rumoreggiare di pentole, e fiuto odore di caffettiera in uso. L'odore acre che mi ha sempre ricordato le mattine d'inverno nella vecchia casa con i miei genitori, quando tutti si alzavano presto al mattino per andare chi a lavoro e chi a scuola, e l'odore del caffè preparato dai genitori mi svegliavano prima della sveglia sul comodino.

Come era facile la vita a quei tempi, e come avrei voluto esserne consapevole per tempo per poterne godere appieno! Vorrei tornare dalla Marta quattordicenne e dirle: "Smettila di preoccuparti di cose futili! Goditi questa giovinezza spensierata prima che arrivino le cose della vita a rovinartela!"

Ma ormai le cose della vita erano arrivate e la spensieratezza se ne era andata. Ho 28 anni e una serie di fallimenti alle spalle, e la cosa peggiore è che sento di avere in qualche modo gettato via del prezioso tempo.

Le voci dei miei genitori mi costringono a smuovermi dalla mia immobilità. Li sento discutere dal piano di sotto e decido di raggiungerli per non dare ulteriori preoccupazioni rispetto a quelle che già sto procurando loro nelle ultime settimane.

Scalza, con il top dello stesso pigiama che indosso dalle scuole medie e gli slip, scendo le scale senza neanche darmi un'occhiata allo specchio. Non appena arrivo alla curva delle scale, mi rendo conto che i miei non stavano parlando solamente tra loro ma c'è una terza voce maschile a intervenire. Mi blocco solo un attimo, la mano destra sul corrimano, il tempo di ripescare nella memoria le informazioni utili a capire se quella voce la conosca, ma proprio non riesco ad associarla a nessuno. Dio, sono ancora addormentata. Scendo gli ultimi gradini ed entro in salotto, rivolgo lo sguardo alla porta di ingresso e vedo mamma e papà di spalle di fronte all'entrata, a coprirmi la vista.

Mormoro un: "Buongiorno..." dubbioso, loro si voltano e lasciano uno spazio sufficiente perché io possa vedere la terza persona fuori dalla porta.

È un uomo che non conosco, occhi azzurri vividi, barba leggermente brizzolata, curata e piuttosto corta, capelli scuri e folti, abbastanza lunghi, tirati indietro, con alcuni ciuffi che ricadono sulla fronte, in alcuni punti grigi, fisico asciutto. Ha lineamenti molto marcati, sopracciglia folte e uno sguardo duro. Indossa una canotta scura sportiva e dei pantaloncini di tessuto tecnico dal colore sgargiante. Potrebbe essere sulla cinquantina.

L'uomo è appoggiato interamente allo stipite della porta, la spalla contro il muro, le braccia incrociate sul petto, una posizione rilassata e spontanea. Sta annuendo a qualcosa che mio padre sta dicendo, ma quando mi nota si smuove, ripunta l'equilibrio sulle gambe e torna in piedi, le braccia sempre incrociate; dall'espressione distesa e amichevole iniziale che aveva, sembra ora preso contropiede, mi fissa con sguardo indagatore e, direi, piuttosto smarrito. Probabilmente non sapeva chi fossi, o probabilmente non si aspettava ci fosse qualcun altro in casa. Incuriosita dal suo sguardo, la mia espressione si fa interrogativa e mi cade lo sguardo sulle mie gambe. Non indosso nulla! Mi sono presentata ad uno sconosciuto in mutande. Ora sono decisamente sveglia.

Faccio un salto indietro imbarazzata per nascondermi dietro il muretto della scala e torno a guardarli. Mia mamma, che è sempre un po' lenta in certe cose, non si rende conto di nulla e si rivolge a me sorridendo: "Guarda chi c'è! Marta! Non conosci Filippo." E fa un gesto con un braccio indicandomi lo sconosciuto. Mio padre sorride educatamente.

Ma certo, Filippo, deve trattarsi del loro vicino. Non lo conosco perché vive in questa zona da poco e finché vivevo qui la sua attuale casa era vuota. Ne ho sentito parlare ogni tanto ma non mi era mai capitato di incontrarlo.

Ora mi trovo in una situazione imbarazzante: sarei tenuta a fare la conoscenza del nuovo, e devo ammettere avvenente, vicino; mia madre mi sta invitando con gli occhi ad avvicinarmi, ma io non sono certo presentabile. Lui intanto sembra incuriosito ma allo stesso tempo impacciato, infatti fa un passo indietro allontanandosi dall'ingresso e abbassando gli occhi. "Maddalena, magari potremo fare le presentazioni in un altro momento, ora Marta si è appena svegliata." Parla guardando mia madre ma lancia uno sguardo a me appena pronuncia il mio nome. "Sarà per la prossima occasione" aggiunge sorridendomi e facendo un gesto con la mano.

Io alzo solamente la mia mano in segno di saluto con un leggero sorriso sulle labbra.

I miei lo salutano e chiudono la porta. Mio papà mi viene incontro invitandomi a fare colazione. Io mi smuovo finalmente e raggiungo la cucina.

Mi siedo al tavolo, realizzo che tutto intorno a me è sempre uguale a come avevo lasciato le cose prima di andarmene di casa, e come sono continuate ad essere nel frattempo. Mio padre beve il caffè in piedi di fronte al lavandino, mia madre guarda un talk show politico di prima mattina, la mia gatta entra nella stanza reclamando cibo, le tendine delle finestre fanno entrare la solita luce confortante mentre un merlo passeggia nel cortile. L'unica a non essere rimasta sempre uguale sono io.

Tutto quello che ho intorno sa di casa, di rifugio, di sicurezza. Anche quando i miei iniziano a battibeccare su non so quale futile argomento mi scappa un sorriso; è tutto così normale da stridere con la poca normalità che sento dentro io.

Verso nel mio latte dei cereali al cioccolato dalla confezione di cartone con una scimmia in bella vista e sento improvvisamente la voce di Ema nella mia testa che mi fa la sua predica perché a 28 anni ancora faccio colazione come i bambini. Impiegherò moltissimo tempo prima di disintossicarmi dalla sua voce in testa che mi fa sempre sentire sbagliata.

Ma oggi è domenica e non ho nessuna intenzione di farmi distrarre di nuovo da questi miei pensieri. Ho molte cose da fare e mentre mastico i cereali faccio mentalmente un elenco: terminare di svuotare le scatole di indumenti, dare una sistemata alla mia "nuova" camera, infine dedicarmi a un restauro totale: in questi ultimi tempi ho trascurato completamente la mia immagine, capelli, unghie, è tutto un disastro da risolvere.

Mia madre mi sta parlando ma non me ne ero nemmeno accorta.

"Marta, ieri sera mi ha telefonato Caterina"

Ecco, tutto quello che ho buttato nel mio stomaco minaccia tutto un tratto di farsi strada per uscirne. Come devo farglielo capire che voglio essere lasciata in pace? Ho preso una decisione, insomma.

Lei nota la mia espressione e velocemente aggiunge: "Non volevo farti pressioni. Le ho detto che quello che è stato, è stato. Se hai deciso per questa strada sicuramente hai le tue motivazioni, e siccome nemmeno io mi sono permessa di farti il terzo grado, non potrà essere lei a farlo". Il suo tono è rassicurante ma anche deciso. Le sorrido tristemente, grata del fatto che comprenda il mio bisogno di focalizzarmi su me stessa e che mi protegga da chiunque voglia distrarmi. Come la madre del mio ex fidanzato.

"Grazie. L'ultima cosa di cui ho bisogno è dover dare spiegazioni a lei."

La mamma mi appoggia una mano dolcemente sul braccio, stringe appena e si allontana, dichiarando già chiuso il discorso.

Vicino al cuoreWhere stories live. Discover now