Capitolo 12-Doc e colpi di fulmine

579 36 42
                                    

Marcus

C'è stata un'estate in cui Boyd era andato in fissa per un cantante italiano che faceva rock, e ricordo che per un lungo periodo continuava a mettere tutti i venerdì una canzone in particolare.

Non ricordo il testo, ricordo solo che c'era un punto della canzone in cui mio fratello cantava a squarciagola in una lingua che non era la sua, ma lo faceva con un pathos invidiabile.

Un giorno decisi allora, di chiedergli perché proprio in quel punto gridasse come un ossesso; lui mi spiegò che la canzone diceva in sintesi: "è venerdì non mi rompete i coglioni".

Ecco, oggi vorrei ricordare il titolo italiano della canzone, per spararmela a tutto volume mentre mi approssimo per arrivare in studio dal Dottor Ross.

In realtà avrei dovuto ascoltarla già di prima mattina, quando Amara mi ha comunicato che Hank aveva ben pensato di lasciarci un ricordino sul tappeto di ingresso.

Non so ancora se mi piace quell'essere a quattro zampe, ho tuttavia resistito all'impulso di spedirlo in Montana con Boyd.

Mio fratello, quando ci siamo salutati, è stato più emotivo del solito. Ha accarezzato la testa del cane venti minuti buoni prima di decidersi ad andarsene.

Raggiunto il citofono del palazzo che mi è stato indicato, scorgo una sfilza di cognomi davanti a me, finché non trovo quello del Dottor Ross e premo il pulsante, prima di ripensarci e darmela a gambe.

«Chi è?» il suono della voce attraverso l'apparecchio non è limpido ma leggermente metallico.

«Il signor Reed, Marcus» dico impacciato.

«Certo, settimo piano, scala B» mi risponde la voce metallica.

Alle sue parole segue il rumore del portone che si apre. Spingo la porta per entrare e sembra più pesante del normale.

Sarà che sono talmente agitato, che ormai mi sembra tutto un qualcosa di insormontabile, anche aprire un misero portone.

Una volta arrivato al piano, trovo alla porta il Dottor Ross e sembra seriamente un Freud moderno. Ha degli occhialetti tondi, una barbetta curata e un cardigan di un colore estremamente rilassante.

Mi sorride mentre mi avvicino.

«Salve dottore, sono Marcus» dico dandogli la mano.

Lui la guarda, mi sorride e poi me la stringe con calore «Ed io sono il Dottor Ross».

Mi fa segno di accomodarmi e ci dirigiamo in una stanza dove ogni elemento sembra avere una collocazione precisa.

Mi guardo un po' intorno alla ricerca di qualcosa che mi possa mettere in allarme e mi faccia correre via a gambe levate.

Che ne so, un cadavere per esempio...

«Si accomodi dove preferisce» dice, aspettando che scelga tra una poltrona o un divanetto.

Di fronte ad entrambe le alternative, c'è un tavolino ed un'altra poltrona.

Opto per la poltrona, dal momento che non so se me la sento di distendermi sereno sul divano di un estraneo.

Una volta seduto, il dottore mi sorride e mi segue a ruota. Mentre continuo a picchiettare il piede per terra, lui si pulisce gli occhiali con il lembo del maglione.

«Trovato facilmente l'indirizzo?» chiede, mentre si rimette gli occhiali.

«Sì, sono venuto in metro» rispondo nervoso.

Non so cosa dirgli, mi sto pentendo di aver messo piede in questo studio. Lui al contrario è calmo e pacato, sembra che sia appena stato alla spa, per quanto è distesa la sua espressione.

SADLY BUT MINEWhere stories live. Discover now