CAPITOLO 20 - UOMO D'ONORE

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[trigger warning: desideri suicidi]


Entrai nella casa del nonno senza nemmeno chiudere la porta. Camminavo in fretta, mentre tutto diventava distante. Era distante la calura estiva, lo scalpiccio dei passi, la toga in cui continuavo a inciampare... persino il dolore. Presto, avvertii unicamente un tremito gelido e, quando le gambe cedettero ancora, rimasi a terra.

Cosa vedi, Virgilio? Provai a figurarmi la scena. Immaginai me stesso sul pavimento, avvolto nella penombra di un corridoio austero. Non sarebbe arrivato Cornelio, convinto che fossi in accademia; né il nonno, impegnato negli affari al Nord col suo amato Valerio; né Sabino, di cui non avevo mai posseduto il cuore.

È la tua condanna, udii rimbombare, Solo. Solo per sempre. Chiusi le palpebre, ma la voce nella mia testa non tacque. Hai freddo, vero?

«Sì» boccheggiai, strisciando verso il bagno.

Allora spogliati.

Sfilai a fatica la toga e slacciai i sandali, poi mi rannicchiai in un angolo della stanza, indeciso se togliere anche la tunica. Per un istante, tornai a quando io e Flacco avevamo scovato il cadavere di un uomo. Era congelato e nudo. Il Freddo spinge i mortali a strapparsi le vesti, aveva spiegato la mamma.

"Strapparsi le vesti non basta" i miei occhi si mossero nervosi lungo le superfici del bagno. Vidi la vasca, le anfore con gli oli profumati e un armadio pieno di panni freschi.

La pelle.

Per fuggire dal Freddo devi liberarti del corpo.

Gettalo via.

Non indossarlo mai più, nemmeno alla fine del Tempo.

La voce nella mia testa continuava a parlare e, a poco a poco, il ricordo di me e Flacco davanti al cadavere sfumò in immagini diverse. Adesso scorgevo una selva piena di alberi secchi a cui erano appesi tanti lenzuoli. Ondeggiavano lenti, accompagnati da guaiti e fruscii.

Sembrano morbidi. Perché non provi a toccarli?

Aguzzai la vista per seguirne il movimento sommesso e allungai una mano ma, appena sfiorai il panno più vicino, ebbi un sussulto. "Non sono lenzuoli!" dal ramo più alto di ciascun albero pendeva la pelle di un uomo. Ce n'erano a centinaia, lisce e rugose, flaccide e smunte, e tutte avevano il volto distorto in una smorfia.

«No! Andate via!» mi sfregai le palpebre e la foresta scomparve. Ero di nuovo nel bagno. Ricordi e visioni erano lontani: restava solo quella voce nelle mie orecchie.

Sei un uomo libero. È un tuo diritto.

«Un mio diritto» balbettai in tono meccanico. Adocchiai il tersorium – un bastoncino di legno con una spugna sulla cima per pulire gli escrementi – e lo presi senza esitazioni. Rammentavo bene come un gladiatore germanico fosse morto soffocato infilandoselo in gola.

È un uomo valoroso, chi sa scegliersi il proprio Fato.

«Pure io... sono... un...» i brividi rendevano ogni sillaba un gemito confuso. Iniziai a fissare il tersorium, troppo spaventato per usarlo. "Se almeno ci fosse un oggetto acuminato... sarebbe meno degradante, meno disgustoso" mi guardai intorno, ma non trovai nulla.

Fallo.

«Perdonatemi» parlavo agli Dei? Alla mia famiglia? A me stesso? Non lo sapevo nemmeno io. Avevo provato. Avevo fallito. Se non altro, avrei saputo morire. Inspirai a fondo e chiusi gli occhi.

Uno, due...

«Fermati!» la voce del nonno risuonò per la stanza, mentre qualcuno mi afferrava il polso. Subito dopo, sfilò il tersorium dalla mia mano e lo gettò via.

"È un demone?" incrociai il suo sguardo, incapace di comprendere "Il nonno è partito da giorni: non può essere qui".

Lui fece per colpirmi, poi si fermò. Avevamo entrambi gli occhi gonfi di lacrime e i nostri cuori battevano all'unisono. «Tu avresti... stavi per...» voleva prendermi a schiaffi e, con tutta la rabbia che lo infiammava, mi strinse a sé. Era sudato, respirava a fatica, ma, più il tempo passava, più stringeva, quasi tentasse di trattenere la mia anima.

«Lasciami» mugugnai senza opporre resistenza «Devo farlo.»

Il demone con le sembianze del nonno cominciò ad accarezzarmi la testa. Intanto, l'ambiente circostante aveva assunto i toni soffusi di un sogno.

"Magari è proprio questo: un sogno" pensai, abbandonandomi allo sconosciuto "Magari sono già morto e la mia anima sta per raggiungere l'Acheronte". Non avevo risposte, né le cercavo. Rimasi lì, inerme e convinto di appartenere al mondo delle ombre. "Un Dio mi condurrà lontano, in un luogo privo di sofferenza; Flacco piangerà un po', dopo andrà avanti; e così gli altri. Un lieto fine".

Chiusi di nuovo gli occhi e immersi la testa nella veste del demone. Sapeva di Sole.

Credo che mi addormentai; ma, forse, ciò che a me parve infinito durò un istante e il desiderio di volare tra gli spiriti svanì non appena lo sconosciuto iniziò a scuotermi.

«Sei impazzito, Virgilio?!» gridò «Ti rendi conto di cosa stavi per fare?»

«Non l'ho fatto?» farfugliai, con la bocca impastata «Allora, perché ti vedo? Sei... un demone? Un sogno?»

«Smetti di farneticare!» continuò, scrollandomi furioso «Sono un uomo in carne e ossa e ti ho impedito di commettere un grave errore». Inspirò a fondo, si asciugò le lacrime e, nell'attimo in cui incrociò i miei occhi colmi di domande, restò in silenzio. Lui, che non vacillava mai, stentava a trovare le parole.

«Nonno?» ansimai mentre riacquistavo controllo del mio corpo «Sei veramente tu?»

«Ma certo! Chi dovrei essere?»

Aggrottai la fronte, ancora confuso. «Come hai scoperto che io...? Quando...?»

«La scorsa notte» distolse lo sguardo, tuttavia non allentò la presa «Ho visto il Foro, Epidio, la tua paura e questa casa. So che un romano ha diritto di porre fine alla sua vita, però sono stato egoista: appena ho capito...» la sua voce si spense e lacrime nuove gli rigarono le guance «Sei mio nipote. Ti ho cresciuto. E ti voglio bene.»

"Non l'hai mai detto" malgrado fossi esausto, le mie labbra si tesero in un sorriso.

«Ho scritto qualche riga a Valerio e sono partito alla volta di Roma» proseguì in tono affannoso «Il tempo era pochissimo, ma, rinunciando alle pause, potevo raggiungerti». Il respiro corto e le mani piagate testimoniavano quella cavalcata ininterrotta.

«Tu... sei uguale a me?» la mamma lo chiamava "dono di Apollo" e, invece, faceva parte di noi «Anche tu vedi...?»

«Sì.»

Troppi dubbi agitavano il mio animo e l'arrivo del nonno era l'ennesimo gioco crudele degli Dei. "Hai ragione, sei stato egoista: avevo il diritto di morire" mi odiavo per quel pensiero, eppure, il risentimento pulsava nelle membra "Egoista a non lasciarmi scelta, egoista a tacere il tuo dono, egoista a farmi credere per anni di essere solo. In quante occasioni hai detto che ero sbagliato, pericoloso, incompreso?" ma non gli avrei rinfacciato niente, non dopo aver sentito che mi voleva bene. Guardai il nonno negli occhi e nascosi la rabbia dentro l'unica frase che riuscii a pronunciare: «Cosa faccio adesso?»

Acheronta MoveboDonde viven las historias. Descúbrelo ahora